NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Uno spettacolo per le Bolle

Il coreografo americano Josh Johnson ha creato uno spettacolo su misura dove l’architettura contemporanea dello spazio eventi Nardini si fonde con l’architettura del corpo nella danza contemporanea

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Josh Johnson

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Foto Michele Memola

 

Questa settimana alle Bolle Nardini di Bassano del Grappa è andata in scena una coreografia creata apposta per il luogo dove il concetto di architettura contemporanea si fonde con l’architettura del corpo nella danza contemporanea. Messo in scena dal coreografo e musicista americano Josh Johnson e interpretato dalle due danzatrici spagnole Jone San Martin e Sandra Marin Garcia. Gli artisti sono partiti da coreografie preesistenti di William Forsythe e Crystal Pite per poi creare un testo inedito apposta per le Bolle Nardini. Lo spettacolo è suddiviso in 4 parti: nella prima il pubblico è all’interno delle Bolle e assiste alla coreografia che ha luogo nella distilleria antistante alla quale segue un video, successivamente si scende nella sala inferiore e su due diversi livelli le danzatrici eseguono un’altra coreografia coinvolgendo anche il pubblico. Nell’auditorium, poi, le due artiste sono seminascoste dietro al tavolo da conferenza e cercano di vendere un prodotto esclusivo dedicato alle Bolle Nardini, non riuscendo ad esprimersi fluentemente sembrano arrendersi per poi giocare tra di loro usando le sedie con le rotelline.

 

Nei primi minuti la pièce è messa in scena nei locali di fronte alle bolle e non tutta la gente presente riesce a vedere bene cosa stia succedendo. Questo tipo di limite è qualcosa che può creare una socie di curiosità quando si guardano i video e le performance che vengono dopo per vivere il tutto in modo più vivace?

Josh Johnson (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Josh Johnson: “Sì, tutta la gente, la distanza e la vicinanza, ogni momento della pièce accade sempre tutto attorno ai 4 livelli, quindi c’è una relazione tra il pubblico e le due donne, me e le due donne, me e il pubblico, ognuno con la musica quindi si può prender quello che si vuole”.

Quando e ragazze danzano nella parte della distilleria, sentono la stessa musica che sentiamo noi?

J.J.: “No”.

Quindi come fanno a distinguere i movimenti che devono fare secondo una musica che non sentono?

J.J.:Vanno al di fuori di ciò che hanno creato, è la vicinanza che abbiamo creato dalla distanza del guardare solamente. Abbiamo cercato di usare il più possibile tutto lo spazio”.

Sandra Marin Garcia: “Abbiamo questo spazio molto grande ma in realtà lo sentiamo molto intimo perché per me è la sensazione che qualcuno mi stia guardando, magari spiando però noi siamo nel nostro mondo ed è molto speciale danzare in silenzio: Jone ha detto che era interessante avere queste macchine così grandi ed essere ispirati da questo così ci sono venute tantissime idee e fonti di immense possibilità”.

Josh, cosa hai pensato quando hai visto questo posto?

J.J.: “Che è assolutamente meraviglioso, stupendo: molto sofisticato ma moderno e futuristico, con uno spirito classico e con una atmosfera di purezza cristallina. Ho provato a creare un’atmosfera differente per ogni location”.

Hai notato che quando il video era in riproduzione c’era anche un riflesso sui vetri dentro alle bolle? Questo può aggiungere qualcosa al linguaggio che hai creato?

J.J.: “Sì, non ci avevo pensato all’inizio poi però è successo”.

Prima della scena dell’auditorium ci sono due coreografie, una al piano superiore, l’altra al pian terreno. Danzano la stessa cosa?

J.J.: “L’informazione percepita da loro nelle orecchie è la stessa e poi quello che loro ne tirano fuori può essere completamente differente. Loro hanno molte informazioni nelle orecchie e poi interpretano quello che voi vedete: loro sentono la mia voce e le informazioni che mando loro”.

Jone San Martin: “Abbiamo due informazioni, una è audio, cioè sentiamo dei soundtrack che lui ci manda, quindi musica, parole o della radio, ogni volta cambia, e quello che ci ha spedito oggi non lo avevamo mai sentito e poi ci dà delle indicazioni su cose da fare:“andate in questo punto qui”; abbiamo dei punti fissi. Diciamo che stiamo lavorando parallelamente e ognuna nel suo modo e allo stesso tempo in cui siamo veramente sincronizzate”.

Mi sembra che il luogo sia la cosa più importante: è come se il contenitore diventasse contenuto e che questo contenuto fosse fatto dalla gente, le ragazze, il testo, la musica e tutto quanto. È un’impressione corretta?

J. S.M.: “Diciamo che noi lavoriamo più a sentire, e noi lo diciamo in inglese: “what the room needs”, di cosa ha bisogno lo spazio, qua in questo momento, di cosa ha bisogno di me. E uno spazio così venire e cercare di riprodurre quello che stiamo facendo in un dispositivo tradizionale sarebbe un peccato, per me sarebbe una cosa insensibile, e visto che stiamo lavorando con i nostri corpi, sensibilizzandoli alle situazione, agli spazi, questo tipo di lavoro, in dei posti così, ha senso se invece di imporre un’estetica, ci si lascia impregnare da quello che c’è già e diventare una parte di quello, che sia quasi lo spazio, la situazione che ci muove a noi”.

J.J.: “Non credo che ci sia un modo assoluto per guardarlo, sono molto aperte all’interpretazione ed è bello che la gente veda e interpreti e voglia tuffarsi dentro all’atmosfera che cerchiamo di creare nella speranza di creare una specie di spazio per far entrare a gente dentro la pièce. La gente è incuriosita, altri emozionati, altri si chiedono cosa stia accadendo in realtà e penso che ogni cosa sia benvenuta”.

Josh Johnson (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

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