NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

La forza del rock e la fisicità della danza

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

facebookStampa la pagina invia la pagina

Il vestito di Marlene

Cristiano, la residenza nella danza è diffusissima, come l’hai vissuta da musicista?

cristiano_godano (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)C.G.: “Come qualcosa di nuovo. Anche una band quando inizia un tour fa due o tre giorni di prove, il promoter della prima data, che viene chiamata data “zero”, ti dà il locale e tu gli dai la data, quindi c’è un rapporto che noi siamo abituati a gestire in questo modo. La differenza è suonare con delle fanciulle che ti stanno sotto gli occhi che fanno movenze sensuali a volte e fisiche altre, ci sono due ragazzi che hanno dei fisici pazzeschi e atletici. È una sensazione abbastanza nuova di cui mi privo abbastanza perché comunque quando suono guardo quello che sto facendo”.

Mvula, la tua compagnia è stata protagonista della sigla del programma di rai5 presentato da Kledi di cui tu eri autore.

M.S.: “Autore e ideatore”.

In questo programma si parlava di qualsiasi aspetto coreutico, dal classico al contemporaneo al musical ecc. Oggi voi danzatori e coreografi siete sempre più cosmopoliti. Questo mescolarsi di tradizioni e linguaggi non crea una globalizzazione omologante per cui a Tel Aviv vedi la stessa cosa che potresti veder fatta ad Amburgo o a Sidney? Un ragazzo africano come puoi essere tu si ispira a Mats Ek che è svedese che a sua volta parte da Tchaikovsky ecc.

spettacolo (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)M.S.: “Hai fatto una domanda molto importante: io credo che ogni coreografo debba stare molto attento alla propria matrice e provenienza. Youtube e questi canali, oltre al viaggio, hanno teso ad omologare il tutto. Nel mio programma, si chiamava “Step”, fino a quando sono rimasto dentro, abbiamo voluto distinguere per far vedere le differenze. Un conto è che tu sia un grande artista di danza classica e a un certo punto prendi un tuo percorso, non devi dimostrare più niente e dici la tua, un conto è che tu non hai mai fatto questo tipo di esperienze e ti ispiri a qualcun altro. Credo che non possiamo interpretare la danza allo stesso modo di Mats Ek: in Svezia hanno quelle condizioni culturali e climatiche che non sono le nostre, in Italia abbiamo delle tradizioni ben precise. Poi io sono mezzo italiano e mezzo africano, la mia danza parte da radici etniche e sono molto attento a fare quello che so fare perché credo che se mi mettessi a fare, come coreografo, quello che fanno Kyliàn, Forsythe o Hans Van Manen sarei solamente una brutta copia di qualcuno, è molto meglio prendersi le proprie responsabilità ed essere fischiato per quello che si è. Noi siamo una compagnia “contro” che è emersa a spallate e abbiamo sempre creduto in quello che dici tu: la particolarità e la necessità di dire la propria, esattamente come i musicisti. credo che Cristiano quando scrive un testo voglia dire qualcosa a qualcuno ma non assomigliare a qualcun altro. In Italia siamo molto più avanti degli USA e ci ritroviamo a copiare e a fare questo passo indietro che trovo davvero poco edificante. Nella mia danza c’è la mia storia, ciò che ho vissuto, studiato e conosciuto”.

Però noi, che siamo culturalmente colonizzati dagli Usa, non siamo loro debitori di una cultura della danza moderna e jazz, tanto quanto loro lo sono nei conforti della cultura africana nell’hip hop e i ritmi blues o jazz?

M.S.: “Sì loro hanno creato questo filone, da Ziegfeld in poi, dal musical con Ginger Rogers, Cyd Charisse o Gene Kelly, dopodiché la danza jazz di West Side Story di Jerome Robbins e successivamente Matt Mattox e Luigi Faccuito, però si sono un po’fermati lì; hanno fatto il lyrical, il jazz che facevano i grandi maestri, quello vero lo faceva Renato Greco. Dopodiché l’Italia si è evoluta, contaminata da altri: il Nord Europa che è il cuore del contemporaneo ha dato questo motore e questa forza e siamo arrivati a superare gli USA, ciò che si vede qui gli stranieri lo guardano e lo apprezzano e lo vorrebbero avere. Il problema è che i ricercatori di danza non riescono a portare fuori tutto questo perché ci sono pochi aiuti dalle istituzioni. In America si fa una produzione per tenerla 20 anni, cresce e migliora, qui ci chiedono ogni anno una produzione nuova: le produzioni si impoveriscono e non possono fare un progetto come questo con i MK e un étoile come Emanuela Bianchini o un danzatore come Emilio Cornejo, i danzatori e un lavoro in sala prove per tanto tempo, che è uno sforzo produttivo importante. La nostra ricerca è quotidiana e costante lavoriamo a livello tecnico con la classica e poi laboratorio coreografico dove io invento queste cose. La ricerca è la base del nostro tipo di spettacolo”.

 

nr. 15 anno XX del 25 aprile 2015

« ritorna

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar