NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Lo scontro in Chiesa

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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Lo scontro

Lei lo ha conosciuto, chi era don Bruno Scremin?

Lo scontro (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)"Ho conosciuto don Bruno nell’ottobre 1965, quando frequentavo la prima media nel Seminario di Vicenza e me lo sono ritrovato come professore di francese e italiano. Noi ragazzi non sapevamo del suo travaglio esistenziale, ma ci accorgevamo che lui stava vivendo un momento molto difficile. Era infatti spesso nervoso e noi soffrivamo quella situazione. Solo dopo anni venimmo a conoscenza della realtà e anche per questo mi sono messo a scrivere la sua avventura di vita, quando anch’io ero preparato interiormente a condividere il vissuto di don Bruno".

In quegli anni schierarsi contro la Chiesa era "un'eresia"? Quanto coraggio c'è voluto?

"È uno dei punti più importanti nel mio racconto, quello che don Bruno ha vissuto soprattutto negli anni 1967/69, quando si è scontrato con il vescovo Zinato e nel farlo ha mostrato un coraggio esemplare. La sua contestazione veniva da lontano, dalla concezione della chiesa, dal ruolo del clero, dalla scelta di campo che lui voleva fossero i poveri e i più deboli. La sua non era una ricerca di privilegi, ma era una lotta evangelica e con il vescovo di allora non c’era alcun spazio per un seppur minima possibilità di confronto. L’unica pretesa della gerarchia di allora era quella dell’obbedienza assoluta e su questo punto don Bruno, che era stato sempre ossequioso e succube nei suoi primi trentatre anni, era cambiato, soprattutto dopo gli anni di studio trascorsi a Roma - 1958-1964, gli stessi anni del papato di Giovanni XXIII -. Lui aveva fatto proprio quel famoso motto di don Milani: l’obbedienza non è più una virtù!".

Lei scrive che quella di don Bruno è stata una sconfitta, ma che lui ha vinto altre battaglie: quali?

"Don Bruno ha inanellato una lunga serie di sconfitte: nella sua contestazione verso la chiesa di Zinato, nella ricerca di una esperienza alternativa di chiesa, nel proporsi in politica, nel cercare di costruirsi una famiglia e di accedere al matrimonio. Non si può guardare a don Bruno come a un vincente secondo i canoni che noi solitamente adottiamo. Eppure, se noi si lasciamo guidare dallo schema di Gesù Cristo, lui è un vincitore. La logica per la vittoria evangelica è sempre la stessa:'se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto'. La mia operazione nasce proprio da questo assunto giovanneo: don Bruno non è più solo, ma è un frutto per tutti noi, per la chiesa vicentina e non solo! Lo scontro è nato proprio per permettere a don Bruno di essere quel frutto che ha cercato di essere e di meritare un giusto elogio anche se postumo".

Lo scontro (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Qual è l'eredità che ha lasciato, il vero messaggio da conservare?

"La sua eredità principale è quella del sapersi schierare, con coraggio, dalla parte dei più deboli e degli ultimi. Per fare questo bisogna aver fatto un cammino interiore di libertà e coraggio, come abbiamo già detto. Solo con una forte coscienza di sé è possibile vivere una simile avventura, perché la prospettiva, soprattutto in quegli anni, era solo la solitudine. Il suo schierarsi poi non era a parole, ma nei fatti e lo ha fatto fino in fondo. Nel lavoro, nella politica, nella lunga dedizione per gli ammalati terminali e infine verso i preti stessi. Il suo rientro tra i preti, grazie all’interessamento decisivo di Nonis, è l’ultima tra queste scelte: anche i preti sono da considerarsi ‘ultimi’, nel senso che oggi non possiedono più il potere di un tempo e vivono la loro stagione di massima fragilità".

Come cappellano del carcere vicentino, si sente in qualche modo vicino agli ideali di don Bruno?

"Ho scritto nell’introduzione che il mio lavoro può essere considerato un'autobiografia a quattro mani. Io vivo oggi la stessa passione di don Bruno e sento che le sue idee sono anche le mie e le sue passioni coincidono con le mie. Il mio essere in carcere nasce proprio da qui: dal mettersi con quelli che stanno vivendo la stagione della sconfitta. Lavorare in carcere è possibile solo se si è capaci di mettersi nei panni di chi è stato piegato dalla vita. Solo così si può operare nell’ottica della misericordia come vuole oggi il nostro papa Francesco. Don Bruno ha vissuto queste cose negli anni sessanta, è insieme ai vari don Mazzi e don Milani, ha vissuto la stagione conciliare nei fatti concreti, schierandosi con coraggio dalla parte di coloro che erano i prediletti di Gesù".

 

nr. 43 anno XXI del  3 dicembre 2016

Lo scontro (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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