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NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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"Flo" e il suo Quartetto tra tradizione e innovazione

La XXII edizione del Festival Vicenza Jazz

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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"Flo" e il suo Quartetto<vr>
tra tradizione e inn

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom



La XXII edizione del Festival Vicenza Jazz New Conversations di quest’anno ha visto protagonista degli eventi al Bar Borsa la cantautrice e attrice Floriana Cangiano, in arte semplicemente Flo, che col suo quartetto ha tenuto uno splendido concerto in cui ha proposto la sua musica ricca di influenze cosmopolite tra tradizione e innovazione. Flo canta nelle principali lingue romanze del Mediterraneo Ooccidentale e l’abbiamo vista già l’anno scorso in piazza esibirsi insieme a Daniele Sepe e Stefano Bollani. Quest’anno è stata segnalata da subito come uno degli artisti di punta degli eventi in città. Il suo ultimo album si chiama “il mese del Rosario” e una delle canzoni, “Freve ‘e criscenza”, è nominata per la Targa Tenco come miglior canzone.

Tu canti in più lingue: chi è nativo napoletano spesso mi dice che pensa in napoletano anche quando parla in italiano. Il napoletano ha una cadenza precisa che sicuramente influenza anche il componimento musicale. Quando scrivi musica in altre lingue ti risulta diverso rispetto a quando scrivi in napoletano?

Flo: “Si senz’altro. Diciamo che il napoletano è una lingua in cui mi viene più immediato pensare perché è una lingua già molto melodiosa di per sé. La scelta della lingua non la faccio a priori, quando mi capita di scrivere in altre lingue è perché penso ad un’ambientazione, un sentimento, un colore, un sapore che ti porta magari a pensare a un testo in spagnolo o in portoghese: dipende dall’argomento che tratti e l’atmosfera che vuoi creare perché il suono è più che altro un’evocazione di un paesaggio".

Sei anche attrice di teatro, anni fa fosti nominata al Premio Eti come migliore attrice protagonista per la pièce “ ‘A Sciaveca” di Mimmo Borrelli con la regia di Davide Jodice. Borrelli fauna ricerca approfondita sulla lingua napoletana dell’area flegrea e puteolana e c’è molto interesse sul suo lavoro, non solo nel mondo del teatro. Che impatto sta avendo sulla cultura di Napoli e in genere sul pubblico italiano, visto che il napoletano è ancora vissuto come ostacolo linguistico?

“Avendo lavorato con Mimmo Borrelli in due spettacoli, “A Sciaveca” e “SEPSA- Spettatori alle Esequie di Passeggeri Senz’Anima” ho approfondito il suo linguaggio e l’ho studiato da vicino. Io credo che Borrelli sia un genio assoluto, una personalità che non ha paragoni, attualmente, nel mondo letterario italiano. Il problema dell’ostacolo linguistico esiste fino a un certo punto perché il suo scrivere, il suo rappresentare è talmente forte nel gesto, poi lui ha anche una voce molto importante che riesce ad arrivare a un sentire che non è intellettuale, Mimmo lo capiscono tutti anche chi non parla la sua lingua. Capita anche a me: ho scritto il pezzo “Freve ‘e criscenza”, che è scritto secondo quel tipo di scrittura poetica evocativa e arcaica non è un napoletano quotidiano è poetico ed è stato il pezzo che ha ricevuto la nomination al Tenco come miglior canzone dell’anno; io me la sarei aspettata su un pezzo in italiano non proprio su quella canzone lì. Questo dimostra che se c’è una potenza espressiva in un testo teatrale o in una canzone l’ostacolo linguistico si può superare".

Napoli è una città con una cultura e una storia radicatissime e articolatissime, è un mondo a parte rispetto al resto d’Italia: molte iniziative culturali attirano visitatori più dall’estero che non italiani.

“In questo momento Napoli sta avendo un momento di rilancio ed effettivamente ci sono molti stranieri più che italiani, questo anche perché Napoli si porta un po’addosso una serie di luoghi comuni che negli anni l’hanno anche un po’ “appesantita”. È una città bellissima e non lo dico perché è la mia città. Poi è complicata come tutte le grandi città. La mia è una prospettiva un po’ diversa perché sono sempre in giro, è la mia casa, è dove ritorno e non potrei tornare da un’altra parte; se facessi un lavoro più consuetudinario, forse, confrontarmi tutti i giorni con questa anarchia sarebbe faticoso. Sì, l’Italia ce l’ha un po’ di snobismo nei confronti di Napoli e nel mio lavoro trovo molto più semplice andare a fare concerti in Turchia, dove abbiamo fatto un tour di una settimana, siamo spessissimo in Germania dove Napoli ha ancora un sapore esotico: la nostra lingua, il nostro suono e i tamburi a cornice che usiamo portano immediatamente atmosfera. Sono diversi anni che lavoro spesso lì e in Austria, c’è un’attenzione per la musica molto seria, un rispetto per i musicisti, il musicista è come un chirurgo".

Sono attenti come se stessi facendo musica classica

"Flo" e il suo Quartetto<vr>tra tradizione e inn (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Sì, esattamente, esattamente".

Il tuo stile è molto ricercato e raffinato, nel tuo album “Il mese del Rosario” ci sono influenze di tutti i tipi e come musicista sei pubblicata in moltissimi paesi, anche in Giappone. Qual è il pubblico che ti ha incuriosita e colpita di più?

“Siamo stati l’anno scorso a Capoverde, è stata un’esperienza molto bella, ci siamo incontrati con musicisti capoverdiani, ci siamo scambiati musica, hanno ballato al nostro concerto, noi ai loro ed è stato un momento di scambio proprio autentico. Quando sei in Europa c’è un po’la struttura discografica e manageriale, sei più all’interno di uno schema che è ovviamente più lavorativo, sarà un luogo comune ma sembra effettivamente di stare in vacanza".

Tra l’altro Capoverde è stato uno dei punti da dove partivano gli schiavi per l’Atlantico, c’è ancora questa influenza tra musica africana, portoghese, nordeuropea eccetera?

“Sì, lì c’è l’Atlantic Music Expo, un festival che si occupa di questo tipo di incontro".

Nella tua bio c’è scritto che ti piace Pina Bausch. Il suo Tanztheater ti ha influenzata anche nella tua musica?

“In un certo senso si perché è un’artista che mi fa sognare, quando la guardo mi emoziono e mi viene da piangere! La cosa che mi piace tantissimo di alcuni personaggi è che sono riusciti a destrutturare un linguaggio ma conoscendolo profondamente. Nel jazz per esempio c’è molta tendenza alla sperimentazione e alle volte è rischioso perché ci può essere il “famolo strano”: chi conosce veramente anche il repertorio e ha delle basi solide se sa veramente suonare e domina lo strumento può uscire fuori da uno schema ma lo schema lo devi conoscere altrimenti esci fuori da che?”.

Anche perché il jazz è un linguaggio riconoscibile ma essendo una musica di ricerca, differentemente dalla danza di ricerca che è immagine, forse corre un po’ più il rischio dell’incomprensione.

“ Si però esistono casi in cui vai a un concerto e vedi una differenza tra la cosa incomprensibile che si poggia su una verità, una conoscenza e un talento reale, e la cosa strana che è strana per essere strana perché la vedi e non ti emozioni".

Nella scena napoletana degli ultimi anni ha avuto molto successo l’hip hop, forse per la musicalità e il ritmo della lingua che dicevamo prima: spesso quando rappano in italiano risultano meno efficaci, un po’ un lost in translation (fenomeno linguistico per cui il significato di un termine o di una frase idiomatica perdono qualcosa nella traduzione in un’altra lingua ndr). Può l’hip hop essere una naturale evoluzione in ambito di musica black come il blues degli anni ’70 e ‘80 dei Napoli Centrale di Pino Daniele, James Senese, Toni Esposito e Tullio De Piscopo oppure è un’assoluta casualità il fatto che questi linguaggi musicali si siano sposati col napoletano?

“Napoli è una città melting pot, nella storia è sempre stata così ed è ancora così, per nulla razzista e con le braccia spalancate alle novità. Però credo che l’hip hop sia una tendenza molto legata a un fenomeno che è quelli che negli ultimi anni è questa rivalutazione delle periferie e che sono state prese un po’ a immagine di una certa “tendenza –Gomorra”, un certo modo di rappresentare Napoli".

Beh ma prima di Gomorra c’erano i 99posse.

“Però con i 99posse c’è stato un momento di rivoluzione musicale importante. In ciò che sta uscendo adesso ci sono tante cose belle e cose che ovviamente sono anche brutte: credo che sia perché Secondigliano e la parte di Napoli Nord è diventato un po’ lo scenario del ghetto alla Snoop Dog, cose americane , immaginario urban un po’ violento e aggressivo che diventa immediatamente la scenografia ideale per questo tipo di musica. Io frequento gli Stati Uniti e mi dispiace dirlo ma il rap americano è un’altra cosa, effettivamente il senso di appartenenza lo senti e per non farlo sentire devi essere veramente un’eccellenza. Ci sono dei rapper, per esempio io conosco benissimo Paolo “ShaOne”, uno dei fondatori de La Famiglia, lui è veramente un talento, una persona oltre la media poi ci sono un sacco di cloni che si vede che sono delle mode".

Che ne pensi della Napoli vista da fuori? Anche se sono passati alcuni anni dal suo film “Passione” per cui i napoletani si sono sentiti capiti ” e dalla versione inglese di “Questi fantasmi” di Eduardo, John Turturro è l’unico che riesce a capirvi?

“Lui è un artista e ha uno sguardo abbastanza inedito, poi tutti possono raccontare Napoli anche secondo uno schema già sentito, no? C’è anche la Napoli esoterica che ha una storia magica molto importante, le catacombe, il Cimitero delle Fontanelle (cimitero dei teschi ndr) ci sono tutta una serie di energie e una tradizione di esoterismo molto forte”.

Sotto Napoli ci sono le catacombe più grandi d’Europa.

“Sì solo sotto al quartiere Sanità ce ne sono 36!”.



nr. 21 anno XXII del 3 giugno 2017

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