NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Quando la lirica
riflette sulla dittatura

Il festival Conversazioni 2017

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Octavia. Trepanation

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom



Uno degli spettacoli più attesi del festival Conversazioni 2017- LXX Ciclo di Spettacoli Classici andato in scena al Teatro Olimpico questa settimana è stato “Octavia. Trepanation” opera lirica per solisti coro ed elettronica tratta dal testo attribuito a Seneca e testi di Lev Trotsky su Lenin. Ideato dal regista e video artista Boris Yukhananov, direttore artistico dello Stanislavsky Electrotheatre di Mosca l’opera è una riflessione sulle dittature rappresentate con segni e riferimenti evidenti: Lenin, Nerone, l’esercito di terracotta cinese. Yukhananov è un regista underground ma nonostante questo riesce a mettere in piedi spettacoli monumentali della durata di più giorni con centinaia di spettatori. Questa versione in prima italiana è un’edizione speciale per il Teatro Olimpico. Dopo il debutto c’è stato un incontro con il pubblico a cui ha partecipato il critico d’arte Achille Bonito Oliva che ha spiegato che “l’arte è produzione di catastrofi, è un massaggio del muscolo atrofizzato della sensibilità collettiva” e che non a caso si utilizza il termine militare avanguardia perché “avanguardia è un drappello che anticipa l’esercito”. Abbiamo incontrato il regista Yukhananov. Il festival si conclude questa settimana con la pièce “Medea” con Micaela Esdra e la regia di Walter Pagliaro. Info www.tcvi.it

Octavia. Trepanation (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La cosa che mi ha colpito principalmente è questa grande visività, questa testa di Lenin molto dominante come se fosse quasi un mito eppure è una persona realmente esistita. Questo è abbastanza russo, nella mia visione occidentale, la mitizzazione dei grandi personaggi condottieri: penso anche a Ivan Grozny nel cinema e nella cultura popolare di oggi c’è anche Putin. Quanto influisce sul pubblico russo questa visione mitologica dei grandi capi sulla percezione, in teatro, di un personaggio realmente esistito?

Boris Yukhananov: “Questo spettacolo non è stato ancora visto dai russi ma se parliamo di questa testa abbiamo una grande tradizione di queste cose. Anche Nerone è stato rappresentato come una testa enorme a suo tempo e noi lo sottolineiamo anche al fatto che attorno alla testa di Lenin c’è questa corona di alloro, corona della vittoria. In questo senso non è solo una mitologizzazione di Lenin: noi più che altro creiamo un’immagine che riunisce tutto in qualche modo e per questo ci abbiamo messo anche l’esercito di terracotta. C’è questo elemento di anacronismo, lo facciamo in modo cosciente, noi creiamo questi anacronismi in modo voluto, creiamo un tempo d’azione che non può esistere nella realtà: un mondo in cui si incontrano tre imperi e le immagini di tre imperi che portano un messaggio comune, è legato alla totalità della tirannia".

Quando noi occidentali studiamo la musica russa e le opere russe una delle prime cose che ci viene insegnata è questa grande attenzione verso la cultura popolare e la grande musica folklorica russa, le masse. Qui invece abbiamo un suono molto minimalista, non ci sono i grandi cori: non è che magari il grande popolo che fa parte dello spettacolo è proprio il pubblico?

“Certo, il pubblico partecipa, lo si vede soprattutto attraverso il ruolo di Trotsky: è un attore drammatico che si dirige a tutta la sala, che abbraccia nel suo discorso tutta la platea e attraverso questo ruolo e le sue parole si capisce tutto questo tentativo politico di “fregarti” che accompagna tutte queste cose, queste menzogne, questo dir cazzate e questo non è solo in Russia: vedendo tutte le espressioni della tirannia nel mondo io sento tutte queste cazzate, le sento dappertutto non solo noi, le sentirete anche voi, le sentono tutti".

Un’altra cosa che mi ha colpito di questo spettacolo, verso la fine, sono queste 4 donne che sembrano delle cariatidi che quindi sostengono qualcosa di molto pesante, importante e monumentale. Però hanno questa vocina così sottile e flebile, mi è sembrato una specie di sarcasmo e ironia di una rappresentazione in cui le tirannie e le dittature hanno il loro punto debole proprio in ciò che le sostiene.

Octavia. Trepanation (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Si, beh loro sono Ottavia, sono la vittima. Nello spettacolo nella versione grande sono in 8 – Ottavia e li sono un piccolo coro cioè il ruolo di Ottavia è dato a 8 vergini, hanno questa ala di uccello sul braccio e un piccolo rivolo di sangue però sono cariatidi e sono come delle vittime nell’architettura della storia: sono le vittime sacrificali dell’architettura della storia".

Lei è anche video artista. Quando si parla di teatro si parla di condivisione, però oggi il pubblico ha una concezione completamente diversa della condivisione, commenta sui social, per cui tutto ciò che è condiviso ha dei numeri diversi da quelli del teatro. È sufficiente oggi per l’efficacia e la diffusione del teatro che ci siano 500 o mille persone, quelle che riempiono la sala, e non magari far uscire il teatro in modo che sia condiviso anche sui social?

“Qui c’è il paradosso della quantità e della qualità. Il teatro è un territorio unico che avviene ora e adesso qui e ora: lo spettatore è qualcuno di vivo che partecipa al teatro. Il teatro potrebbe vivere sullo schermo, al giorno d’oggi può essere messo online; ci sono anche dei teatri che fanno degli spettacoli in forma di film. Noi diciamo che battiamo tutte e due le strade, la poetica teatrale è difficile da fare a tirature grandi ma un film spettacolo fatto bene potrebbe diventare un opera a sé e allora potrebbe essere fatto vedere a una quantità enorme di persone".

Attori e registi italiani mi dicono che quando devono affrontare un testo russo a volte vano a vederlo in Russia perché il modo in cui in Russia viene fatto, per esempio, Cechov, è completamente diverso da come viene fatto in Occidente. Noi in Italia abbiamo una fortissima tradizione di teatro latino e greco: lei ha visto in Italia del teatro classico greco fatto da noi italiani? Cosa ne ha pensato e cosa le è piaciuto? Lo ha trovato diverso da come lo fate voi in Russia?

“Beh io amo il teatro antico classico ma penso che sia rimasto molto lontano nella storia. Il mio amico Theodoros Terzopoulos, grande regista greco, fa delle messe in scena incredibili sulla base di testi antichi ma non è più teatro antico, è nuovo teatro che ha trovato la sua strada in questa profondità antica dove il reale teatro antico si è nascosto ed è sprofondato ed è andato a ricercare questa cosa. Noi quando abbiamo inaugurato il nostro Elektroteatr, 3 anni fa, con un’opera di Terzopoulos che era Le Baccanti di Euripide è stato un gesto voluto di creare questo legame con la comprensione di questo paradosso: in realtà questo legame non può essere più recuperato, non è più possibile ricostruire quel teatro".

Il sistema teatrale italiano inteso come attori, registi, operatori del settore, si lamenta che la politica è completamente disinteressata alla cultura e quindi non la finanzia e che è molto difficile trovare sponsorizzazioni perché appunto viene vista come una cosa che non ha molta risonanza anche se c’è molto pubblico a teatro. Lei fa degli spettacoli grandissimi che immagino costino molto. Che consiglio si sente di dare ai teatranti italiani?

(Ci pensa ndr) “Trovare i soldi".

Dire Russia, nella cultura visiva, vuol dire avanguardie. Questo spettacolo che abbiamo visto è spettacolare e dirompente come lo sono state le avanguardie 100 anni fa. Cosa vuol dire oggi fare qualcosa di moderno, efficace e altrettanto forte?

“Bisogna rimanere fedeli a se stessi, al proprio amore per il passato e la propria fiducia nel futuro, amore per il futuro anche".



nr. 36 anno XXII del 14 ottobre 2017

Octavia. Trepanation (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

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