NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Arte e rivoluzioni

Le scoperte e le nuove visioni degli artisti e scienziati del '500

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Arte e rivoluzioni

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom



Questa settimana al TCVI si è conclusa la rassegna “Arte e rivoluzioni” ideata da Guido Beltramini che nell’appuntamento di chiusura ha spiegato come le scoperte e le nuove visioni degli artisti e scienziati del ’500 abbiano rivoluzionato il mondo creando una cesura irreversibile tra il medioevo e aprendo un varco verso la contemporaneità di oggi. Abbiamo incontrato Beltramini, direttore del CentroInternazionalediStudidiArchitetturaAndreaPalladio dal ’91, uno dei massimi esperti su Andrea Palladio riconosciuto a livello internazionale dalle principali istituzioni di arte e architettura con le quali collabora o di cui è membro (Harvard Univeristy , Canadian Centre for Architecture, Royal Academy of Art, Biennale di Venezia e molti altri).

 

Arte e rivoluzioni (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La rassegna si chiama “Arte e rivoluzioni: quando il mondo cambia, l’arte arriva prima”. Quando ha cominciato a pensare a questa rassegna di lezioni spettacolo?

Guido Beltramini: “L’idea è nata da una proposta che mi hanno fatto Roberto Ditri e Giacomo Cirella (rispettivamente presidente della Fondazione TCVI e direttore del Teatro ndr) nella tarda primavera dell’anno scorso. Credo che Cirella avesse appena visto la mostra sull’Orlando Furioso che avevo fatto a Ferrara, gli era piaciuta questa narrazione dell’arte e aveva pensato che potesse essere qualcosa che poteva essere utilizzato a teatro e mi ha chiesto di pensare a un filo rosso per la rassegna. Ho pensato che in un momento di grandi cambiamenti a livello nazionale e internazionale poteva essere interessante interrogarci su altri momenti in cui sono cambiate le cose e cercare di vedere in prospettiva il presente attraverso il passato".

Già da decenni siamo abituati alla divulgazione culturale in tv. Con un linguaggio semplificato è stato possibile rendere riconoscibile al pubblico argomenti molto complessi. Non c’è un po’ il rischio che si pensi che questo possa essere sufficiente e che l’arte e la cultura possano essere alla portata di chi non ha una preparazione scientifica?

“No, quello non lo penso per nulla, penso che la cultura sia quella cosa che trasforma i sudditi in cittadini, cioè che aiuta le persone a pensare e a comprendere il mondo intorno a loro. Forse il più grande storico dell’architettura del ‘900, James Ackerman, diceva che certe volte dei colleghi sembravano dei sacerdoti che dicevano la messa in latino dando le spalle ai fedeli; mi è sempre piaciuta questa descrizione, sarà perché ho avuto il privilegio di conoscere molto da vicino Ackerman e di lavorare con Howard Burns, sono assolutamente convinto che il compito degli intellettuali sia di parlare a tutti. Naturalmente mi è ben chiara la differenza tra ricerca e racconto, sono convinto che tutti i grandi storici, pensiamo a Jacques Le Goff e ai grandi intellettuali, erano anche degli eccezionali narratori: io non penso che le due cose siano assolutamente in conflitto, anzi. L’idea di dare al popolo dei prodotti semplificati: io penso che dobbiamo dare delle cose fatte bene, che sia un dovere degli intellettuali fare in modo che le informazioni passino in modo efficace. Quando parlo ai miei colleghi dei miei problemi sui disegni di architettura e sugli inchiostri, uso un linguaggio tecnico, quando parlo alle persone “normali” cerco di usare un linguaggio comprensibile".

Quanto il linguaggio televisivo può essere compatibile con la presentazione teatrale?

“Anche qui non vedo una grande contraddizione: per me ha sempre avuto una estrema importanza l’immagine e credo che le immagini siano un linguaggio sintetico a cui bisogna prestare una grandissima attenzione. In televisione forse è possibile avere degli effetti più costruiti, al tempo stesso, a teatro, la presenza fisica della persona che parla sul palco mi sembra che abbia una fortissima capacità di impressionare e mi sembra che funzioni bene".

Arte e rivoluzioni (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)A livello di spettacolarizzazione queste presentazioni non si differenziano molto dallo stile di un pioniere della comunicazione emozionale, Steve Jobs, che non faceva lezioni. Il linguaggio è lo stesso: si possono chiamare comunque lezioni?

“Mah io le vedo più come delle specie di mostre effimere, istantanee, delle vere e proprie mostre in cui però quelle opere compaiono e scompaiono rapidamente. Forse il termine “mostre effimere” è quello che per me si avvicina di più, che mi interessa fare, perché dal mio punto di vista il protagonista dovrebbe essere sempre l’immagine. Io odio parlare di emozioni, mi pare poco interessante, mi sembra molto più interessante il termine “esperienze” e mi pare che queste esperienze siano più efficaci se sono all’interno di una temperatura visiva molto alta: bisogna mantenere una tensione estetica molto alta".

Nello spettacolo si dice che il disegno è servito a padroneggiare il mondo e a capire le cose. Oggi abbiamo musicisti che sono considerati tali senza saper leggere o scrivere la musica perché magari sono abili con delle tecnologie che permettono loro di creare il suono. Oggi, per fare un film di animazione, servono 200 ingegneri che creano un software che faccia muovere i personaggi, non c’è più il disegnatore. L’arte del futuro sarà sempre più scienza e meno creatività?

“No no, a me sembra che ogni qualvolta la tecnologia ha potenziato le nostre capacità ha sempre più potenziato la parte creativa, per migliaia di anni. Io sto proprio lavorando con Christian Greco (protagonista della lezione sull’Egitto ndr) a una mostra sulle origini del disegno in architettura: gli egizi disegnavano l’architettura in un modo simile a come l’hanno disegnata i nostri padri. Stiamo vivendo un momento di transizione fortissima perché l’introduzione del digitale ha cambiato il modo di fare il disegno: prima esistevano due comunicazioni nell’architettura, uno era il disegno tecnico, l’altro era il disegno di rappresentazione per i clienti. Adesso con le tecniche digitali è possibile con lo stesso disegno, ottenere due tipi di risposte: quella proprio puntuale che dà la misura esatta dell’elemento che serve all’architetto e anche quello che dà l’idea dell’edificio che serve al cliente".

Parla del rendering?

Arte e rivoluzioni (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Sì. Tuttavia mi sembra, come dimostra Frank Ghery, che è stato uno degli architetti che ha lavorato da subito con gli elaboratori elettronici, che la creatività non diminuisce, anzi, penso che non sia assolutamente un problema che l’architettura diventi ingegneria. Il potenziamento tecnico mi pare che liberi in realtà la creatività. Guardi a certe forme di Ghery o certi azzardi che prima era difficile calcolare e che quindi non si riuscivano a fare e che ora sono resi possibili dai sistemi di elaborazione".

Quali sono i Paesi che investono di più in tecnologie e marketing creativo e penetrante per promuovere l’arte e i contenuti culturali e con quali risultati?

“Mi pare che ci sia una grande corsa verso le tecnologie e il loro uso un ambito creativo; sicuramente gli Stati Uniti e Silicon Valley restano un luogo primario, così come per esempio Londra e l’Inghilterra mi sembra che restino delle aree del mondo in cui la parte tecnologica e creativa sono particolarmente sviluppate. Certo, alla fine come sempre la California rimane il luogo dove questo tipo di intreccio tra tecnologie e creatività danno il massimo di sé, pensiamo ai film ecc".

Lo spettacolo che lei ha presentato verteva sul ‘500: un’epoca in cui l’uomo diventa il centro del mondo e si riscopre l’identità dell’Io. Lei fa l’esempio dell’effige sulla moneta oppure uno dei protagonisti del Faust che vende l’anima al diavolo pur di vedere il viso di Elena di Troia. si passa dall’idea collettiva del Medioevo a quella dell’egocentrismo contemporaneo. Questa cultura ha portato un’attenzione rivolta verso il singolo anche nel suo rapporto con la collettività, le grandi masse e le classi sociali, per poi tornare all’Io: penso alla Rivoluzione Francese o al Romanticismo, alle lotte per i diritti che in realtà riguardano masse di singoli che condividono problemi e aspirazioni. Oggi ci confrontiamo con culture dove la schiavitù è ancora presente e le donne non hanno diritti. Ci sarà uno scontro di civiltà con risvolti imprevedibili oppure la globalizzazione appiattirà tutto?

“No, scontro di civiltà non l’ho mai pensato. Quello che mi pare sia cambiato è che possiamo conoscere tutto di tutti e che il mondo sia diventato estremamente visibile, che conosciamo molto più di un tempo. Sono convinto che questa trasparenza del mondo in cui viviamo sarà qualcosa che lentamente tenderà a mettere in crisi le differenze più assurde: penso che saranno le donne musulmane a cambiare quel mondo, perché non posso pensare che accettino di restare costrette come sono oggi. Sarà da lì che partirà".

Pensiamo a un’immigrazione al contrario: noi occidentali che andiamo in massa verso Cina, India. Quanto la nostra cultura ci potrebbe essere utile per adattarci e ambientarci in un paese completamente diverso?

Arte e rivoluzioni (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Io ho una particolare passione per la cultura orientale e ho un amore speciale per il Giappone, dove andrei molto volentieri a vivere. una cosa che mi ha sempre dato fastidio che l’Italia organizzasse questi “carrozzoni”, tramite fantomatiche compagnie che ospitavano mostre: ho sempre trovato imbarazzante l’idea di pensare di andare a Pechino, città con migliaia di anni di storia di arte meravigliosa, pensando d dare i nostri scarti. D’altro canto il grande sforzo che stanno facendo le grandi università americane come Harvard: coinvolgere nello studio del Rinascimento il mondo cinese per esempio. Il centro di ricerche di Harvard a Firenze è forse il più importante del mondo per la storia dell’arte e organizza da 5 anni almeno 3 volte all’anno dei seminari in Cina per raccontare il rinascimento agli intellettuali cinesi delle università. E poi basta frequentare i grandi musei internazionali di Londra e New York per vedere la grande massa e il grande fascino che la cultura nostra dimostra nei confronti degli amici orientali. Io non ho preoccupazione né visione di superiorità: la grande qualità delle sculture han, cinesi, non ha niente da invidiare alla nostre pitture su fondi oro del ‘200. Credo che si potrà lavorare insieme senza nessun problema".



nr. 12 anno XXIII del 31 marzo 2018

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