NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Aristofane, il teatro classico può diventare cabaret

Intervista con Mario Perrotta che ha portato in scena a Schio la controversa piece nella quale viene indagata la società italiana contemporanea partendo dalla decadenza della Grecia

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Aristofane, il teatro classico può diventare cabar

Prosegue la stagione della prosa a Schio con la rassegna “Schio Grande Teatro”, promossa da Arteven, con lo spettacolo di Mario Perrotta “I cavalieri-Aristofane Cabaret”. Lo spettacolo fa parte di un progetto triennale, “La trilogia sull’individuo sociale”, costituito da tre pièce: “Il Misantropo” di Molière, “I Cavalieri-Aristofane Cabaret” e “Flaubert –atto finale”. Il trittico ha vinto il Premio Speciale Ubu 2011, considerato l’“Oscar” del teatro. Lo spettacolo che abbiamo visto all’Astra di Schio è molto più che un classico rivisitato. Strutturato in un atto unico con quadri, “Capitolo primo: Condominio Italia” e “Capitolo secondo: L’uomo nuovo”, il lavoro di Perrotta indaga la società italiana contemporanea partendo da un testo classico, sfruttando i linguaggi della comunicazione a noi più riconoscibili, con un ritmo e una reiterazione che sono tipici delle canzoni, ma anche della televisione. Quella che vediamo è una società allo sfascio dove il litigio dei talk show viene inserito come un tratto ormai irrinunciabile, stressante, che però viene ridicolizzato dandosi sulla voce l’uno con l’altro a ritmo. C’è anche la pubblicità con le voci armonizzate dalle “Sorelle Badoglio” che fanno da testimonial per qualsiasi prodotto, anche le trasmissioni televisive. La Pièce si ispira anche all’opera “Lisistrata”, sempre di Aristofane, dove le donne istituiscono lo sciopero del sesso per fermare la guerra, qui utilizzata come spunto di riflessione sulla violenza domestica messa in atto anche negli ambienti dell’alta borghesia. Un’opera moderna, completa, che ha avuto un ottimo riscontro da parte del pubblico scledense. Ne abbiamo parlato con l’autore, interprete e regista, Mario Perrotta, secondo il quale non esistono differenze tra le varie forme di teatro, ma esiste solo teatro fatto bene e fatto male, teatro utile e inutile.

Aristofane, il teatro classico può diventare cabar (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La crisi, la tragedia greca, una serie di luoghi comuni, le chiacchiere da bar che vengono proposte col ritmo della musica popolare, ci sono molti riferimenti anche a Modugno. C’è però un accento su certe parole e su certe consonanti. Cos’hai voluto evidenziare con questa tecnica?

«Semplicemente ho utilizzato una tecnica vecchissima del cabaret che è quella che hanno usato i migliori cabarettisti italiani e tedeschi, come Kurt Weill, Brecht, e si gioca a puntare l’accento sulla parola che vuoi far passare. È una tecnica molto vecchia che io applico perché la conosco molto bene».

Si continua coi luoghi comuni che si intrecciano coi problemi della disoccupazione per passare attraverso le urla delle liti in tv. Oggi sembra che meno lavoro ci sia, più la gente sia attratta dalla mediocrità televisiva o quantomeno sia più sensibile ai desideri che impone e crea. Partendo da Aristofane come sei arrivato a queste scelte narrative?

«È la stessa cosa che racconta Aristofane ne “I cavalieri”. Mette in scena un personaggio, che si chiama popolo, che viene messo in mezzo tra i due contendenti, un macellaio e un servo che lavora le pelli, e questo personaggio viene adescato da promesse tipo: “ti darò le fave al prezzo più basso di lui”, “io ti regalerò il pane”, eccetera. Alla fine vince chi dei due gli offre, Aristofane dice in una didascalia, una donna bella e poco vestita. Cosa c’è di più attuale?».

La forma teatrale non è solo cabaret, è teatro popolare, di ricerca, teatro musicale, perché in tutto lo spettacolo ci sono delle frasi reiterate come se fossero dei ritornelli. Tutta la pièce è strutturata come se fosse una lunghissima canzone. Secondo te ci può essere un a relazione tra la forma canzone a sé stante, cioè un prodotto “corto”,e la pièce teatrale con le sue strutture caratteristiche, che invece è molto più articolata e ricca di sottotesto, riferimenti e, nel tempo, più lunga?

«Diciamo il rapporto che ci può essere in un’opera lirica. Se pensi a un’opera lirica è una lunga canzone fatta di tanti momenti. Nel mio spettacolo, nei primi 25 minuti, ritorna sempre lo stesso tormentone e la stessa atmosfera, come a dire che stiamo vedendo solo degli sprazzi di questo “Condominio Italia”, ma poi la solfa è sempre la stessa».

Come mai hai legato gli stralci dei telegiornali, gli omicidi, le stragi, con le urla di giubilo dei goal?

«Perché è la beceraggine della televisione e l’uso che noi facciamo del telecomando. Girando, creiamo un nostro involontario blob, per cui passiamo dalla madre che massacra il bambino, ai goal e questo nostro blob diventa osceno. Anche i telegiornali, dopo la notizia del massacro, dicono quanto ha fatto il Milan, questa cosa la trovo di una volgarità… però la televisione ha i suoi tempi e i tempi della tv impongono che tu passi dai massacri alle ricette di cucina. Per cui non è diverso da quello che sentiamo ogni giorno».

Aristofane, il teatro classico può diventare cabar (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)



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