NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

Aristofane, il teatro classico può diventare cabaret

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

facebookStampa la pagina invia la pagina

Aristofane, il teatro classico può diventare cabar

Qui non vediamo dei personaggi ben definiti, come carattere, inteso anche come “character”: siete 6 di voi e siete completamente al servizio di una situazione scenica che non ha un filo narrativo convenzionale. La storia viene portata avanti da dei segmenti, sembra un racconto collettivo formato da frammenti di commenti, una società raccontata tramite dei tweet. Una struttura narrativa così versatile e poliedrica in che modo risulta compatibile con un testo classico?

«In sostanza l’ho fatto esplodere, l’ho disgregato in tanti frammenti, ma appunto perché a parlare è il “Condominio Italia”, e sono voci prese così al volo, che gridano, si arrabbiano per una situazione o l’altra. Quello che mi interessava era il quadro d’insieme, il ritratto di gruppo».

Fatto magari con tutte le immaginette che non c’entrano niente.

«Esatto, è il puzzle che si compone e tu, all’inizio, non è che vedi bene cosa verrà fuori alla fine, lo vedi nel suo insieme».

Aristofane, il teatro classico può diventare cabar (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Anche Aristofane era molto critico nei confronti della politica e della società. Se i problemi sono gli stessi dei tempi di Aristofane e la Grecia era considerata un modello culturale assoluto, come si spiega che oggi va tutto a rotoli?

«La verità è un’altra: la Grecia di Aristofane era all’inizio della sua decadenza: la Guerra del Peloponneso, 30 anni situazione pesante. L’età d’oro della Grecia cominciava una fase di declino. Noi invece siamo alla fine della nostra fase di declino, bizantina, ce la siamo beccata per 20 anni. Io dico spesso che la storia è come la descriveva Gian Battista Vico, per cui corsi e ricorsi storici. C’è una fase medioevale, una rinascimentale, un bizantina. È sicuro che ci sarà un nuovo Rinascimento e, come ho scritto nelle note di regia, spero di esserci!».

Le musiche sono eseguite dal vivo, come avete lavorato? Ci sono riferimenti a tante canzoni degli anni ’50, un po’ di Kurt Weill, geniale il “tema di Tara” da “Via col vento”, in jazz, sigla di “Porta a porta” che diventa: “Porca a porca, quando un giorno sta per finire e un altro per iniziare, in collegamento dai campi”. C’è di tutto!

«Abbiamo lavorato sempre con Mario Arcari, il musicista, sul campo. Io scrivevo le parole della canzone e poi: “secondo me ci potrebbe andare questo motivetto così, secondo me ci potrebbe andare questo”. È un lavoro sul palcoscenico perché siamo tutti e due uomini di palcoscenico».

Proprio come nel teatro di ricerca.

«Sì. Esatto: non c’è scelta preconcetta, a tavolino».

La pièce viene aggiornata a seconda degli eventi?

«Sì, certo. L’ho scritto prima che arrivassero i “tecnici” e chiaramente i due personaggi che prendevo in mezzo erano attualissimi, ma oggi sono vecchi, per cui ora devo annunciare che l’uomo nuovo è quello che ha sostenuto il governo dei tecnici e la ragazza che dice: “io il posto fisso ce l’ho, certo una monotonia…”, lo spread, eccetera».

Molti artisti ci dicono che il teatro non è molto compatibile con la tv, chi guarda la tv spesso non coglie eventuali segni teatrali. Portare la tv in teatro, invece, non solo funziona, ma il linguaggio televisivo può essere sfruttato in maniera estremamente critica e creativa per arricchire quello teatrale. Perché non si riesce ad arricchire la tv con il teatro?

«Non sono d’accordo su questo. Io ho appena iniziato una serie di racconti su Rai3 e funzionano benissimo, hanno avuto un riscontro notevole. Ho fatto teatro in tv in una forma plausibile per la tv e ha funzionato molto. in realtà c’è da dire che il pubblico televisivo è un pubblico abituato ai ritmi della televisione e quelli del teatro sono diversi».

Ma è solo un questione di ritmo, secondo te? Non è proprio anche una questione di segno?

«No, no perché appunto mi sono adattato ai ritmi della tv, ma ho mantenuto il segno teatrale, ho solo cambiato il ritmo e quindi la gente ci sta. Il programma si chiama “Sabato notte extra” dove parlano di teatro, lirica eccetera, e all’interno c’è la mia striscia che si chiama “Paradossi italiani”».

 

nr. 08 anno XVII del 3 marzo 2012

« ritorna

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar