NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Minimal la scena grande l’esecuzione

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Minimal la scena grande l’esecuzione

Il minimalismo estetico che è così diffuso può portare il pubblico a concentrarsi maggiormente sulla performance degli artisti e quindi creare un pubblico ancor più consapevole dal punto di vista musicale?

F.P.: «Nei miei spettacoli, è l’ho fatto anche recentemente in Maria Stuarda, tendo a fare in modo che il cantante-attore sia al centro della serata, dello spettacolo e della narrazione. A mio avviso la storia e la musica hanno una valenza eterna e possono ancora comunicarci qualcosa, il realismo è giusto farlo ma non è nelle mi corde, devo ringraziare anche gli interpreti perché questo genere di spettacoli richiedono degli interpreti che oltre che cantare si applichino molto nella recitazione: è complicato perché l’opera lirica non è realistica e quindi bisogna trovare anche una recitazione che a volte abbia un’impronta realistica e altre volte simbolica, e non è facile».

Giampaolo Bisanti: «Questo è un dramma in musica e i registi tendono a liberarlo da fronzoli magari inutili, lo stesso Bob Wilson o Brook, si sono sempre comunque attenuti a un’ambientazione sobria, probabilmente anche per una loro scelta e questi procedimenti danno la possibilità di poter avere, a mio giudizio, un impatto molto più diretto con la musica, soprattutto in un grande dramma di teatro come Don Giovanni».

Il teatro musicale di Mozart: in cosa differisce dagli altri grandi del teatro musicale?

Minimal la scena grande l’esecuzione (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)GP.B.: «Mozart è arrivato prima e ha cominciato a lavorare proprio sul recitar cantando in termini più moderni in chiave più classicistica: utilizzando un codice precostituito, sostanzialmente quello della musica tonale e dell’armonia che imperava al’epoca, è riuscito con genialità a creare una correlazione strettissima, con pochissimi mezzi, tra la parola e il gesto musicale e soprattutto il gesto di teatro. Per esempio una figura concitata quando c’è concitazione, o una figura più lenta quando ci sono situazioni più melliflue: con l’evento musicale riesce a descrivere perfettamente l’atto teatrale. Teniamo conto che lui ha scritto la maggior parte delle opere in italiano, una lingua alla quale lui non era avvezzo: se analizziamo bene il Don Giovanni, un italiano così forbito, aulico e assolutamente moderno, trovare delle soluzioni musicali e teatrali così centrate ha del miracoloso».

Mozart è stato anche molto famoso perché nella sua epoca lui sfruttava moltissimo questi gusti orientali e nell’aria in cui Don Giovanni canta la sua canzone vediamo l’uso di una mandola: lui era anche venuto a Napoli a studiare la scuola napoletana: che cosa gli è piaciuto e ha attirato la sua attenzione?

GP. B.: «Ha cominciato a respirare gli stilemi, oltre che della napoletanità di quel tempo, anche di suoi contemporanei che avevano dei modus operandi e delle filosofie ed etiche musicali completamente diverse dalle sue, molto più vicine alle radici italiane, perché teniamo conto che noi italiani, anche nel mondo, per quanto riguarda la musica sinfonica e altri generi, siamo molto riconoscibili e connotabili. Lui avrà captato degli odori, dei sapori, delle melodie e degli strumenti molto particolari, come la mandola come dicevi tu: una serenata con mandolino in un’opera così importante e monumentale è un gran colpo di genio».

Il Don Giovanni è un dramma giocoso e più di altri è difficile categorizzarlo, sia come dramma che come commedia, perché entrambe le parti sono estremamente riconoscibili sul piano formale, dal punto di vista musicale: qual è la tecnica con cui Mozart riesce a vivere e a unire burla e dramma nello stesso componimento? tra l’altro, spesso, questo cambiamento di registro avviene in un tempo molto breve senza compromettere equilibri armonici e melodici.

GP.B.: «Esatto: è tutto forma chiusa, ma secondo me lui contempla un’unica visione formale di quest’opera, in cui lui fa un pot pourri e un’antologia di movimenti di danza, movimenti drammatici e anche protoromantici. La sinfonia è protoromantica: questi grandi accordi di Re minore, tonalità mistica insieme al Do minore, che poi sono il leitmotiv del ritorno dello spirito del commendatore, però in un’altra veste perché quando arriva il commendatore si apre con un accordo di Settima Diminuita perché dà molta più tensione. Per cui lui utilizza tutto quello che ha, io credo, in un’unica soluzione e senza soluzione di continuità: spacca in due il dramma passando da una serie di infiniti sentimenti e infinti stati d’animo, penso che li abbia contemplati tutti, la gelosia, l’amore, la burla, la paura e anche un po’ la ricerca dell’occulto e questa è stata una grandissima novità. A suo tempo il pubblico è rimasto sbalordito e attonito dall’evocazione del commendatore che lo invita a cena e lui risponde di si, sono gesti musicali propri di un teatro che non si erano mai sentiti prima, musicalmente c’è tutto: forma, sostanza e questa incredibile trovata anche cinematografica della danza delle maschere, che verrà per altro utilizzata dai grandi maestri un secolo e mezzo dopo di lui, cioè il posizionare 3 orchestre sul palco che suonano e accordano. È quasi un kolossal del ‘700, non avrei altro da dire se non che rimanere allibito, ogni volta che prendo in mano questa partitura, dal fatto che questa scrittura era già proiettata 100 anni avanti».

 

nr. 01 anno XVIII del 12 gennaio 2013

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