NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il dolore delle stragi tra sonate di Bach e coreografie eleganti

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Il dolore delle stragi tra sonate di Bach e coreog

Sonate di Bach eseguite dal vivo: come si sposa la musica da camera con delle immagini che comunque fanno riferimento alla violenza e alla morte? Nel cinema era stato già stata usata musica classica in scene di guerra ma si trattava di musica sinfonica più imponente.

Virgilio Sieni: «Per quanto mi riguarda ci sono due aspetti fondamentali: la bellezza nel suo arco esponenziale va a collegarsi con l’elemento tragico, basta guardare tutte le magnifiche opere dei pittori rinascimentali che vanno ad accentuare il momento tragico. La Crocifissione, la Strage degli innocenti e così via, è un momento indicibile, fuori dal tempo, dove ci indica come la bellezza ci possa sospendere nell’atto tragico; detto questo, Bach con le sue Sonate va a creare un’architettura, una città ideale quasi e quindi emerge sicuramente l’elemento di una misura sacrale dove per sacro si intende proprio la scrittura di un luogo. Quindi le Sonate Bach vanno a riscrivere dei luoghi precisi, quasi dettassero il perimetro di queste azioni».

Il dolore delle stragi tra sonate di Bach e coreog (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Lei ha fatto 11 quadri in quest’opera: ci sono Kabul, la Palestina, Baghdad.

«Tutte tragedie che riguardano i civili, soprattutto».

Molto spesso le immagini che ci arrivano dai paesi arabi sono dei network come Al Jazeera o El Arabia. Questi nuovi network hanno dei codici di diffusione delle immagini molto diversi dai nostri, nei confronti dei bambini o dei cadaveri: influisce, secondo lei, nel mondo occidentale, sul modo con cui si fruisce di opere come queste, che hanno un senso civile?

«Questo è un argomento particolare perché a volte si agisce per assuefazione, cioè a dire che le troppe immagini vanno a creare un’indifferenza nei confronti dell’evento e tutto questo va a creare addirittura una chimica, quindi la necessità di osservare e di avere quelle immagini quasi quotidianamente. Così l’immagine deve essere sempre più eclatante e questo è un problema presente e reale nella nostra società, cioè quello di dover andare a cercare l’eclatante nella tragedia, qualcosa che non si è ancora visto nella tragedia degli altri. Non solo le televisioni ma anche le tv private e tutto quello che è il sistema di internet, ci fornisce in tempo reale un’iconografia delle immagini totalmente inedita rispetto a prima. Evidentemente dove l’immagine era benthal algeri (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)controllata e appunto mediata, tutto questo va a creare un immaginario e una vicinanza diverse nella percezione di quella tragedia. Nutro dei dubbi rispetto alla percezione del corpo semmai, perché il sovraccarico di immagini molto spesso va spogliare un’osservazione nel dettaglio, uno sprofondare e avere la pazienza e la durata dello sguardo su un’immagine che ti permette di arrivare a una natura diversa e non uno sguardo onnivoro che appunto semplicemente usa l’immagine. Per quello che è anche un bisogno adrenalinico e questo è il problema della società di oggi nei confronti dell’immagine».

Però è innegabile che le immagini che girano su questi grandi network arabi siano effettivamente efficaci nel far capire di cosa si stia parlando perché le immagini nostre sono più “sfumate”, l’effetto è più smorzato. Come influisce questo modo di fare notizia sulla percezione del pubblico?

«Bisogna essere molto bravi nella decodificazione perché, esattamente come i mezzi che abbiamo a disposizione, la televisione può essere un mezzo straordinario ma un uso negativo può veramente andare a influire su una lettura e un’ estetica; è un mezzo di per sé, tutto il resto è decodificazione, analisi e la capacità di analizzare queste immagini. Questo è il punto debole di tutte le informazioni che ci arrivano. L’immagine della tragedia va a nutrire tutto un mercato che è anche commercio, quindi se noi a volte ci facciamo anche degli spettacoli, spero che siano degli spettacoli di riflessione nei confronti non solo della tragedia ma anche del linguaggio stesso che noi utilizziamo, in questo caso la danza. Per me è un continuare a ricercare attraverso il corpo e mi interessa, in questo caso di Sonate Bach, associare il lavoro a delle tragedie, proprio perché portare il pensiero lì per giornate e mesi interi ha significato comunque portare un nutrimento e un’emozione diversa alla creazione. In questo senso qui, l’alchimia nella dinamica della muscolatura muta e quindi gli impercettibili mutamenti spero vadano a nutrire tutta quella che è la ricerca linguistica e viceversa. Quindi per me è una coreografia in dono a queste tragedie, evidentemente. Io mi sono nutrito, in questo caso qui, delle foto di fotoreporter che era per me l’unico elemento possibile proprio perché volevo avere una partitura molto dettagliata. Costruire una danza attraverso certe immagini per me voleva dire destinare del tempo della mia vita a queste tragedie attraverso delle fotografie, quindi donare del mio tempo a questa cosa invece che ad un’altra per me questo è stato già un atteggiamento importante. Poi tutto il resto. Oggi però devo dire che è molto pericoloso perché sulla tragedia degli altri si vanno molto spesso a costruire dei prodotti commerciali, anche».



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