NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il dolore delle stragi tra sonate di Bach e coreografie eleganti

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Il dolore delle stragi tra sonate di Bach e coreog

Michelangelo (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Lei ha avuto esperienze dirette? È andato a visitare questi posti di queste tragedie oppure ha preferito avere una visione da fuori?

«Ho visitato dal Medio Oriente a Sarajevo stessa, abbiamo lavorato con Adriano Sofri che ci ha riportato lui stesso delle testimonianze. Ho visitato questi posti non durante i conflitti».

Secondo lei oggi si riesce a percepire il dolore? Una deposizione: ci soffermiamo di più sul gesto pittorico o scultoreo dell’artista, invece quando guardiamo le foto e le immagini non pensiamo allo spirito con cui il fotografo ha fatto quella foto, ci preoccupiamo di più del contenuto, cioè del fatto che una foto ci colpisce perché…. Come mai questo?

«Intanto la foto è proprio la rappresentazione della realtà, quindi c’è un legame temporale anche diverso: questo è realmente accaduto e quindi è molto diretto l’elemento emozionale, come la foto di una tragedia automobilistica. C’è un’incanalazione diversa dell’emozione. Per quanto riguarda l’arte è il percorso dell’arte stessa, un percorso legato al bosco, cioè l’arte del boscaiolo, come ci indica la Zambrano, che si deve saper orientare dentro a un bosco. Quindi l’arte è esattamente questo, creare tutti quegli elementi non stravaganti e complessi tout court, ma quegli elementi che vanno ad aprire dei sentieri inediti dentro a una foresta che è comunque esistente e non percorrere le stesse autostrade».

Lei è da pochissimo direttore artistico della Biennale Danza. Rispetto al suo predecessore Ismael Ivo quali sono i punti di contatto che creeranno una continuità e quelli che magari creeranno una rottura?

«I progetti futuri sono sicuramente orientati, come ho fatto quest’anno, a un coinvolgimento di tanti artisti e danzatori attraverso il Biennale College. Per quanto riguarda il festival, un’apertura totale a quello che potrebbe essere anche il lavoro di un artista inteso come spettacolo, produzione finale ma anche sicuramente l’articolazione di più visioni da parte di un artista, quindi dallo studio al contatto coi danzatori stessi a delle permanenze a Venezia. Mi interessa creare un’idea di geografia come metafora un po’ di una dimensione della danza che si apre, per cui non solo i teatri all’Arsenale ma creare una ventina di luoghi in tutta Venezia da poter usare in senso diverso. Cercherò di aprire il più possibile a quella che è anche l’esperienza italiana: con Operaestate Festival abbiamo già avuto un progetto sui bambini quest’anno e proseguiremo sicuramente quest’aspetto perché mi interessa e mi sta a cuore tutto quello che è percorso di formazione dei bambini tra i 10 e i 14 anni. Quindi tanti progetti a questa maniera, alla fine, vanno a formare una costellazione importante. La differenziazione esiste e sta esattamente in questa articolazione abbastanza ampia di tutti i percorsi: molte pratiche, molti maestri invitati, coreografi che incontrano tanti danzatori, non un gruppo solo, almeno un centinaio, a creare una comunità. Il coinvolgimento di persone “altre”, intendendo per “altre”, dal non vendente, all’anziano, al bambino, perché ritengo necessario, per il professionista, fare pratica con queste persone per andare a intuire una tecnica mancante che è quella di saper muovere tutti attraverso le proprie capacità. Tutti questi percorsi verranno sviluppati».



nr. 29 anno XVIII del 27 luglio 2013

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