NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

I Celti nell'Alto Vicentino

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

facebookStampa la pagina invia la pagina

I Celti nell'Alto Vicentino

Chi furono i Celti e cosa rappresentarono per il mondo di allora?

I Celti nell'Alto Vicentino (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)"Rappresentarono la prima civiltà complessa dell’Europa Continentale, la prima a uscire dalla nebbia della preistoria ed entrare nella storia. Sono per questo considerati i Padri d’Europa, il popolo più antico di cui si conosca il nome in tutta l’area a nord delle Alpi, protagonista della storia per più di 500 anni. Costituirono un punto di riferimento non solo importante ma fondamentale negli scambi commerciali dei popoli del tempo: Etruschi, Romani, Greci. Al giorno d’oggi si ritiene che i Celti continuarono a esercitare il loro influsso nelle lingue, nelle arti, nelle tradizioni e nella religione anche dopo il periodo d’oro dell’Età del Ferro, nonostante i Romani e la Chiesa Cristiana. Dall’Asia Centrale erano arrivati in Europa, nella regione comprendente le sorgenti del Reno, del Rodano e del Danubio, nel corso del terzo millennio a.C. e da lì si espansero integrandosi con le popolazioni autoctone. La loro prima apparizione in Italia avvenne nel XII sec. a. C. nella zona lungo il Ticino. Ma è tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C. che, per ragioni tuttora oscure, i Celti iniziarono vasti movimenti migratori verso sud. In particolare alcune tribù, arrivarono in Italia e occuparono la pianura padana. Altre proseguirono il loro viaggio e si spinsero fino a Roma, che saccheggiarono nel 390 a.C. I Celti non riuscirono mai a formare uno stato unitario, ma erano divisi in una miriade di tribù, tuttavia si riconoscevano in un’origine comune, consapevoli di condividere la stessa lingua, la stessa cultura e la stessa visione religiosa".

Da cosa è nato il vostro interesse verso questo antico popolo?

"Da riflessioni su alcuni toponimi delle nostre valli e su osservazioni di particolari strutture e di determinate forme topografiche. Nell’introduzione del nostro libro diciamo che non li abbiamo cercati, ma solo incontrati, infatti abbiamo cominciato a studiarli solo dopo che ne avevamo viste le tracce nel territorio. Prima di allora sapevamo a malapena chi fossero e ne avevamo la visione completamente distorta, quella di un popolo barbaro e incivile, che ci ha lasciato la scuola. A questo punto ci siamo appassionate e abbiamo letto gran parte della letteratura su questa popolazione, sia italiana che straniera. Gli studi sui Celti ci offrono quasi sempre una conoscenza generica, mentre noi ci siamo calate nel nostro particolare, analizzando tutto il materiale di età protostorica presente nei musei della nostra regione, e non solo, e cercando di metterlo in relazione con quanto avevamo osservato sia direttamente sul territorio che sulle mappe catastali".

Che legame ci fu con il Vicentino e cosa resta oggi -anche in senso simbolico- di questa civiltà?

I Celti nell'Alto Vicentino (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)"Un legame strettissimo. Noi ci sentiamo di dire che perlomeno nell’Alto Vicentino, durante l’Età del Ferro, nasceva, viveva e moriva una popolazione celtica ed esattamente una tribù di Galli Cenomani. Ci sono numerosi documenti diretti che lo testimoniano come le sepolture celtiche di Montebello Vicentino, il torque di Trissino, il medhelan (santuario di mezzo) che abbiamo individuato a Muzzolon di Cornedo Vicentino. Era il centro religioso di una tribù, il bosco sacro per eccellenza, dove avveniva l’incoronazione del sovrano. La sua presenza dunque ci dice che nella valle dell’Agno risiedeva il re di una grossa tribù che viveva stabilmente sul posto. La toponomastica poi è ricchissima di vocaboli di origine celtica, e, come afferma la linguista Marinetti, un toponimo celtico presuppone la presenza stabile di nuclei che parlano/parlavano la varietà linguistica alla base del toponimo, cioè di Celti parlanti celtico. Tutte le chiese di epoca paleocristiana o comunque precedenti all’anno Mille, secondo noi, sono sorte in luoghi di culto celtici: non è una novità che la Chiesa dei primi tempi, anche su indicazione di papa Gregorio Magno, cercasse di dare continuità al sentimento religioso pagano proponendo Santi che nel nome o nelle caratteristiche assomigliassero alle divinità precedenti. Così nelle nostre chiese accanto ai Santi troviamo gli animali sacri dei Celti: il maialino di Sant’Antonio, l’agnello di San Clemente, l’oca di San Martino. Quando questi animali non diventano docili ed ubbidienti ai santi allora si trasformano in mostri da combattere, come nel drago di San Giorgio e di Santa Maria Maddalena o nel diavolo. Ancor oggi ci sono feste e tradizioni, presenti in tutte le zone della Gallia Cisalpina, di chiara provenienza celtica, come la festa dei morti, la festa della Candelora, o la tradizione di accendere falò in determinati periodi dell’anno o di scalare l’albero della cuccagna".

Sappiamo che furono un popolo molto spirituale: dunque niente a che vedere con la definizione di barbari che ne diedero i Romani o di pagani come venivano anche definiti.

"Storici romani e greci ci hanno presentato le guerre tra Romani e Celti come la lotta tra la civiltà e l’inciviltà. Ciò continua a pesare, come una specie di maledizione, su questo straordinario popolo e spiega il silenzio dei libri di scuola. Non erano semplicemente molto religiosi come li definì Giulio Cesare, ma erano guidati in ogni azione della vita quotidiana da un sentire religioso che era per loro la principale ragione di vita. Il sacro era presente ovunque: nei luoghi, nei gesti, nelle parole, nelle scelte nell’abbigliamento. Proprio qui si nasconde il segreto del mondo celtico: la sua forza non era rappresentata da orde barbariche, vocianti e sanguinarie, ma dall’intensità della sua concezione religiosa. Avevano sì alcune usanze per noi crudeli come fare sacrifici umani, anche se in casi eccezionali, o tagliare la testa al nemico ucciso, ma nello stesso tempo applicavano un diritto di famiglia all’avanguardia e avevano un gran rispetto per le donne che godevano di pari diritti degli uomini. Le donne erano sicuramente più libere e considerate delle loro contemporanee greche e romane. Come si fa poi a definire barbaro un popolo che nell’arte cercava emozione e libertà, sapeva lavorare i metalli con rara maestria e originale raffinatezza e che possedeva tecniche sconosciute ai Romani? E ancora, come si fa a definire barbaro un popolo che poneva il poeta all’apice della scala sociale, nella stessa classe dei potentissimi sacerdoti?"

Il quadro dipinto da certi romanzi o film d’avventura degli ultimi anni (si pensi al fortunato King Arthur) è realistico o è solo fiction?

"Non possiamo rispondere in modo assoluto in quanto alcuni romanzi sono del tutto fantastici, altri, pur dell’ambito fantasy, come La dea dei cavalli di Morgan Llywelyn, si rifanno a documenti storici ben precisi. Lo stesso discorso vale per i film, dove per dar risalto ad aspetti che fanno presa sul pubblico, vengono mescolati periodi diversi, comportamenti documentati storicamente ad altri del tutto inventati. Sia nei libri che nei film alcuni personaggi, divinità, sacerdoti, guerrieri, amazzoni sono indubbiamente presi dal reale contesto celtico come anche il furor in battaglia o il piacere della tavola e delle abbondanti libagioni. Altri personaggi e situazioni sono del tutto inventati o presentati in modo caricaturale, ad esempio il celta sempre con l’elmo con le corna in testa o il druido mago, come mago Merlino, immerso nelle sue pozioni magiche".

A vostro avviso c’è qualcosa che dovremmo imparare da quella civiltà, qualcosa che oggi potrebbe ancora esserci utile?

"Innanzitutto il loro rigore etico: i Celti erano guidati nelle scelte da una moralità innata, per loro il peccato era venir meno ai propri doveri in ogni campo sia pubblico che privato. Poi, l’autonomia e la considerazione della donna: come abbiamo detto prima, non c’era bisogno nella loro società di stabilire per legge le cosiddette quote rosa. E infine la particolare sensibilità verso la natura. Rispettavano la natura e vivevano in armonia con essa pur adattandola alle loro necessità: abbattevano gli alberi per usare il legno, cacciavano gli animali o li allevavano per mangiare, coltivavano i campi per raccogliere i frutti ma non volevano dominarla o sfruttarla perché erano fermamente convinti di farne parte".

 

nr. 21 anno XIX del 31 maggio 2014

I Celti nell'Alto Vicentino (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

« ritorna

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar