NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Stasera ovulo

Uno spettacolo, andato in scena al comunale di Vicenza, è l’occasione per parlare, anche, di sterilità delle donne con l’attrice Antonella Questa

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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“Stasera ovulo”

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Il cartellone collaterale del prosa dedicato al teatro contemporaneo prosegue al Teatro Comunale di Vicenza con una famosissima pièce intitolata “Stasera ovulo” interpretata dall'attrice Antonella Questa. Lo spettacolo mette in evidenza le difficoltà vissute dalle donne che hanno problemi di sterilità e di quanto vengano caricate psicologicamente di aspettative, di come possa pesare su di loro un certo pragmatismo disincantato di alcuni mariti che al previsto rapporto sessuale da far coincidere con l'ovulazione preferiscono l'allenamento per l'imminente match di calcetto perché la partita è una certezza, la gravidanza no.

 

Questo spettacolo è in giro dal 2009, hai fatto delle modifiche nel frattempo?

Antonella Questa: “La storia l'ha scritta Carlotta Clerici, io l'ho tradotta perché era scritta in francese, io ho fatto degli adattamenti perché lei l'ha scritta sulla Francia, noi non abbiamo quelle leggi”.

Si comincia con un breve excursus storico, dalla conquista della pillola, l'indipendenza della donna, il poter scegliere di non fare figli, oggi tante di quelle conquiste sembrano essere diventate degli ostacoli: il personaggio ruota attorno a un problema, il non poter fare figli, quando fino a 20 anni fa era un segno di emancipazione dell'individuo, anche dell'uomo.

“Stasera ovulo” (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Si sì, anche di gestione di noi stessi, del coppia. Questa è la storia personale di Carlotta, perché alla fine lei lo ha adottato e c'è stato questo happy end ma questo entrare nel tunnel ossessivo di avere un figlio a tutti i costi per cui uno perde veramente di vista il perché si sta facendo il trattamento, il bambino, un esserino vivente, l'ho vissuta anche io. Che poi la condizione di giudizio costante della società che ha uno sguardo su di te, portare l'immagine della donna che procrea, che se è madre bene, altrimenti è un problema”.

Ma non è troppo invasiva la società? Da una parte c'è l'individuo, dall'altra c'è una società che lo corrode, perché prima devi fare i figli e se non li fai non va bene, poi prendi la pillola e ci sono degli ostacoli con la microsocietà ( la mamma, il papà, la coppia). Ma la percezione di sé deve passare attraverso un consenso della società al punto da infliggersi cure ormonali devastanti?

“Certo! Purtroppo è ancora così!”.

Ma non è emancipazione questa!

“No assolutamente. Qui entriamo nell'altro spettacolo che sto portando in giro, che ho scritto io, si chiama “Svergognata”: la ricerca ossessiva dello sguardo altrui, con l'arrivo dei social network dove c'è l'ossessione di mostrarsi, dove dobbiamo essere in un certo modo, corrispondere a quella cosa lì, al punto di cercare il consenso nello sguardo altrui dimenticandoci del nostro su noi stessi e di chiederci se ci va bene o se sappiamo fare diversamente. Questa mancanza di ascolto nei nostri confronti è una mancanza culturale, religiosa, per come viviamo in Italia”.

Però la religione di cui parlate voi nella pièce è una superstizione, non ha niente a che fare con la fede.

“Sì ma è la visione della donna all'interno della religione cattolica, io ho fatto le scuole dalle suore, quindi la donna quello fa: fa la mamma, fa la brava donna, fa i figli soprattutto, perché sennò che cosa fa?”.

Ma quello è folklore cattolico.

“Chiamiamolo come preferisci, però è un'influenza che tu subisci, che tu ci creda o meno, perché magari tu non ci credi, però tua mamma, la tua amica, tua sorella hanno assorbito questa visione del mondo di sé e delle altre donne e tu esci di canoni: “non ce l'hai? Vedrai che adesso arriva!”. Ma perché deve arrivare? Io personalmente ne ho persi due, ad un certo punto ho detto basta, non ho nemmeno voluto fare le cure ormonali. Mi dicevano: “ma non lo vuoi un figlio tuo? Ma adottane uno!”, come se fosse un oggetto, uno status symbol”.

C'è la scena in cui tu snoccioli ogni mese: “questo mese no” e ti togli tutta una serie di mutande per ogni mese di mestruazioni. La gente ride, in realtà, quello è l'inizio del dramma. Chi frequenta i cartelloni del contemporaneo é abituato a vedere di tutto, gli estremi: una scena in cui una si toglie le mutande per finta, perché sotto ne hai tantissime, e la gente ride. Perché?

“É un riso di imbarazzo. É un'idea di Virginia Martini che firma la regia, un'idea geniale nella sua semplicità, perché quel gesto rivela che noi tutte facciamo così, osare di mostrare quello che noi tutte non mostriamo mai a nessuno. Appena possiamo guardiamo le mutande per vedere se sono macchiate. Ci sono stati uomini che mi hanno detto che non credevano che fosse così ossessionante la ricerca del figlio”.

Ma chi segue il contemporaneo è abituato ad essere shockato anche nell'intimo.

“Guarda che parlare di sterilità non è semplice, è meno scandaloso se andavo in scena e facevo sesso estremo. Parlare di sterilità e di questi argomenti è davvero un tabù in Italia. Per questo è un imbarazzo, uno svelamento di qualcosa di estremamente intimo. Il fatto che sia un tabù ce ne siamo rese conto dalla prima replica perché ci hanno chiesto i dvd, pensavamo ingenuamente che fossero degli organizzatori che avevano visto lo spettacolo, no, era il pubblico, che poi ritorna, prendono il dvd, se lo passano, “tieni, perché così rimani incinta anche tu”. è diventato un cosa di questo tipo”.

“Stasera ovulo” (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)



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