NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Dante e Bach

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Dante e Bach

E tu arrivi dalla Puglia…

“…E sappiamo quali esperienze sono state testimoniate e documentate in merito”.

Sonia, la cosa che mi ha colpito subito è l’uso della tua voce: tu entri nell’Inferno di Dante già sapendo, come personaggio, che sei tra dannati. Con la tua voce li descrivi poi crei un vero e proprio percorso. Lo stato di dannazione è infinito, poi invece c’è un’altra dimensione in cui c’è una sofferenza che è simile alla dannazione con la certezza, non si sa quando perché il tempo non c’è, della beatitudine. Poi la beatitudine, qualcosa di trascendente, superlativo e divino e che quindi non può essere raccontato con parole umane. Cosa vuol dire come attrice dover esprimere fisicamente qualcosa che non può essere espresso con parole umane?

Sonia Bergamasco: “Sono molto felice che sia arrivato questo, è una lettura chiara: mi piace che tu dica “fisicamente” perché proprio attraverso la parola si esprime, si sintetizza e si compie il corpo dell’attore e in questo senso la lettura ad alta voce dà all’attore la possibilità più concreta di dare corpo al pensiero dell’autore. In verità io non penso tanto ai personaggi. Dante ci mostra già tutto: innanzitutto come leggerlo, qual è il ritmo, quali sono le sonorità, i segni di interpunzioni, fondamentali, i respiri, le possibilità di cesura e di attesa, di pausa e micro pausa. È proprio una partitura compiuta, perfetta e musicale attraverso la quale passa un pensiero filosofico e poetico. Quindi semplicemente, dopo uno studio necessario, il desiderio è quello di non fare niente, di mettersi in ascolto di quello che c’è”.

Dante e Bach (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Ho visto che ti accompagni col corpo: quanto il ritmo degli endecasillabi riesce a trascinarti fino a percepire una necessità di movimento fisico?

“Sì, in verità io vorrei anche muovermi meno, è che succede. Ha più a che vedere col musicale che col teatrale, è più un dirigersi e dirigersi le parole nei versi”.

Se i stata anche una Lady Macbeth. Dante lo leggiamo in italiano, Shakespeare tradotto: nella tua esperienza di attrice c’è qualcosa di simile tra questi due autori?

“Sì, la teatralità, direi semplificando. La scrittura di Dante, le sue terzine, sono puro teatro d’immagine, una visione che si succede dopo l’altra, è quasi cinema. È una visione che però passa attraverso la parola; ho fatto un laboratorio proprio dedicato alla Commedia, a “La valigia dell’attore” che è un festival che si tiene da 10 anni alla Maddalena diretto dalla figlia di Volontè, Giovanna Gravina, ed è un laboratorio permanente dove arrivano allievi attori di tutte le scuole italiane. Quell’ anno l’ho diretto e ho chiesto a tutti i ragazzi per ammissione di leggere tutta la Commedia”.

Tutta?

“Tutta. E poi di scegliere 3 canti dalle 3 cantiche su cui avremmo lavorato. L’hanno fatto, alcuni non l’avevano mai letta, ragazzi molto giovani, di 20 anni, e per loro è stata una scoperta, tra attori che hanno scoperto un mondo attraverso Dante, un teatro, hanno visto ed sperimentato la teatralità di quella parola”.

Quando degli attori fanno molto Shakespeare, vengono definiti “attori di Shakespeare”, come se fosse ancora in vita. Dante è molto letto, l’ultimo è stato Benigni, ma poi Albertazzi, Gassman tantissimo, Carmelo Bene che faceva tutt’altra interpretazione. Perché non viene detto “attore di Dante”?

“E diciamolo! Perché Dante non ha scritto per il teatro. Certo, poi Romeo Castellucci, un autore teatrale nuovo, anche se ormai di tradizione, ha dedicato un grande impegno a lavorare sulla Commedia, Tiezzi ha lavorato sula Commedia, molti hanno lavorato sulla Commedia, però reinventandosela. Poi chi se ne importa se non ha scritto un testo teatrale, se oggi tutti i testi possono diventare testo teatrale, quindi hai ragione”.

La musica di Bach cosa ti ha portato nell’interpretazione del testo dantesco?

“Beh sempre un senso di frustrazione perché la parola non può arrivare là, rimane sempre un passo indietro, poi c’è Bach. Anche Dante aspira alla musica: il Paradiso è un aspirazione musicale, un’armonia perfetta”.

Il XXXIII del Paradiso è difficilissimo: è un linguaggio poetico, filosofico, teologico, c’è la matematica; è forse uno dei canti in cui Dante più esprime il concetto di opera d’arte come summa della conoscenza. Appunto, descrive qualcosa di trascendente e di divino che non può essere descritto con parole umane. Parlavamo del corpo: quando parliamo di astratto c’è la filosofia e nella nostra epoca pensiamo all’arte contemporanea. Per l’attore qual è il passaggio tecnico dal pensiero filosofico al momento attoriale?

“Credo che il corpo umano, più che il corpo dell’attore sia un possibilità di mondo ed esprime di per sé una visione. Il corpo d’attore è un corpo allenato alla visione, quindi un corpo d’attore potrebbe dire anche nel silenzio e nell’assoluta immobilità”.

Nella danza avviene, effettivamente.

“Ed è puro teatro quindi ci sono molti modi di stare. La parola la considero carne, articolazione fisica del corpo umano e del corpo attoriale e quindi non è scissa. La voce è un’astrazione pura, è filosofia, però…”.

 

nr. 22 anno XX del 6 giugno 2015



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