NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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L’uomo che ha “rianimato” la ghironda

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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L’uomo che ha “rianimato” la ghironda

La cultura musicale della danza quanto incide anche in una riscoperta di una cultura anche gastronomica?

L’uomo che ha “rianimato” la ghironda (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Tantissimo. La gastronomia, il nostro ambiente, le nostre montagne, la lingua, l’architettura, il mangiare è tutto legato insieme. Ci teniamo a mantenere e a dire ai nostri prima di tutto quanto sia bello questo modo di stare insieme e di condividere attraverso la danza, di vivere la nostra identità in questo modo, ma tutto rientra qui dentro, non per dire che noi siamo meglio degli altri ma per dire che noi sappiamo chi siamo, che è bello fare le nostre cose, venite che sono per tutti".

Identità e differenze: questa valorizzazione quanto può essere manovrata o manovrabile dalla politica?

“Per carità, io ritengo che il problema dell’immigrazione debba essere affrontato al di là di un generico grido di accoglienza a tutti i costi ma vedo dall’altra parte che ci sono delle persone che stanno smuovendo tutto questo semplicemente perché sono dei politicanti che vogliono vivere senza trovarsi un lavoro. Io dico sempre che gente come la Lega, per parlare chiaramente, ha dato voce al Nord ma il microfono non gliel’ha messo davanti alla bocca ma da un’altra parte. Noi non abbiamo mai voluto essere manovrati da questa gente e riteniamo che sia estremamente importante curare, viere e amare la propria identità anche perché ricordati bene che se tu hai una cultura, una lingua e una tradizione, non hai più paura degli altri. Molte di queste cose vengono fuori in questo modo perché la gente non sa più chi è. Quella falsa idea di comunità che ci viene data dai social: è un salotto di scimmie che si girano tra le mani le pulci che si raccolgono dalle schiene, non può prendere il posto di quelle che sono le nostre vere comunità, di migliaia di anni di vita, dell’elaborazione di cultura nostra o degli altri popoli che sono in Italia, in Europa o nel mondo. Anche qui sono sul filo del rasoio: tenermi in equilibrio tra i mondialisti che dicono che c’è un brodo uguale per tutti, che vogliono il meticciaggio a tutti i costi e molto spesso dietro a queste posizioni si nasconde una forma di masochismo etnico per cui si disprezza quello che si è e si è pronti a prendere qualsiasi “cagata” che venga da fuori".

Gli americanismi?

“O anche le cose che vengono dal cosiddetto Terzo Mondo. Un certo ambiente radical chic che prende la musica africana: “ah che bello”, e dimentica quello che c’è a 100 mt da casa sua. Vedo un pericolo lì e vedo un pericolo da parte di quegli altri, un po’di buon senso non farebbe male".

I meticciati: noi siamo italiani e abbiamo subito influenze da tutte le parti, sia da Nord che da Sud.

“Si ma non sono capitate in un anno o due queste cose e soprattutto è arrivata gente che aveva radici e le culture si mettevano insieme, non puoi pretendere di non avere una cultura e di fare un meticciato con quello che ti arriva da fuori".

È una colonizzazione.

“Et voilà. È una forma di colonizzazione da senso di colpa molto spesso: “Poverini stanno male, prendiamo la loro cultura o interessiamocene”".

L’uomo che ha “rianimato” la ghironda (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Pensiamo un po’ a una geografia musicale europea, voi siete un po’ il ponte: la zona dell’Occitania poi si va un po’ più su si arriva al mondo celtico e di là c’è il “mondo vichingo”, lì fanno una fatica terribile a recuperare.

“Eh lì è proprio folklore".

Ecco: differenza tra il folklore e il recupero vero di cui parlavamo prima?

“Noi non parliamo di recupero ma di vivere la nostra cultura e identità. Parli dei catalani, degli occitani, dei baschi o dei galieghi, per il resto l’identità vichinga è un po’ un gioco, divertentissimo e bello. Quella celtica, tu hai le lingue celtiche insulari, hai il bretone che è una lingua celtica. È un’identità molto forte. Fa veramente ridere che noi facciamo i celti. Io prendo sempre quello che ha vissuto mia madre, mia nonna, mio nonno, quello che c’è nelle mie zone, quello lì per noi, per un irlandese no, per un bretone no, è la propria lingua".

Dall’altra parte il Mediterraneo con la cultura araba, anche quella giudaica con la musica klezmer fino ad arrivare al Medio Oriente. Lì non si è mai perso niente?

“Ma scherziamo!? Sono paesi in cui a queste tradizioni sono legatissimi. La cultura popolare sono scambi continui che si innestano, cose che vengono metabolizzate e che danno sintesi nuove, tu stai parlando di tutti paesi con delle loro fortissime identità".

L’innovazione, oggi, può tradire la tradizione?

“NO. Non tradisci niente se tu hai un rapporto con una terra, sai cos’è la tua tradizione e hai una conoscenza, come per esempio abbiamo noi delle strutture coreutiche che rispettiamo tantissimo: è il nostro gioco, quello della canzone d’autore sulle strutture coreutiche delle danze tradizionali".

Anche se ci metti l’elettronica?

“Ma puoi metterci quello che vuoi: una tradizione se non ha la forza di trovare e inglobare degli elementi nuovi e di utilizzarli per esprimersi, vuol dire che puoi lasciar perdere".



nr. 29 anno XX del 25 luglio 2015

L’uomo che ha “rianimato” la ghironda (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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