Nel momento in cui io ti do il telefonino tu hai rotto completamente la quarta parete e io mi sento in pericolo davvero.
M.M.: “Sì ed è quello l’interessante per me, farti sentire in qualche modo sempre in pericolo. Come lo sguardo finale di Fiorella, l’attrice più anziana che mette il secondo pesce e che alla fine ti guarda: è uno sguardo che accoglie e che ferisce".
C.R.: “Come se il pubblico in qualche modo fosse parte di R&G e fosse incaricato di questo ruolo ma dall’altra parte viene data la responsabilità di essere parte di quella società che rifiuta il loro amore. Anche nel dramma, alla fine, è soltanto perché i due si sono sacrificati e sono stati capro espiatorio che le due famiglie possono ricongiungersi, ed è come se fosse un ammonimento. Il tema iniziale di questa coppia in cui lui muore annegato ritorna nel finale dello spettacolo e lo sguardo di Fiorella è come quando, alla fine del dramma, il principe dice: “state attenti!”…”
M.M.: “…mai più deve succedere questo”.
Ci sono tante figure retoriche che mettete in scena: Giulietta anziana con la dentiera oppure la scena con le tazze da tè, che è stupenda perché lei ricorda Romeo giovane che non c’è più: lei è ancora in contatto con i suoi sentimenti e li vive, si relaziona con se stessa e il suo amore è comunque a sé stante. La gente era molto commossa.
M.M.: “Eh, è forte quella scena lì perché non ci pensiamo mai: un anziano che vive l’amore, anche quello che non c’è più".
… Sembra Rose sul Titanic…
M.M.: “Anche quella è una forma di G&R. Titanic è una storia che riverbera questo: uno dei due si salva e lo ricorda ancora".
Lla simbologia del pesce può far pensare che non solo si sono ricongiunti ma che Romeo si è sacrificato per Giulietta, perché vuole una vita migliore, per una speranza. Cioè, +1: potrebbero essere 3 pesci, 4 pesci, come tutte queste bottiglie.
M.M.: “Sono le bottiglie che evocano anche i morti".
I morti e le onde che travolgono e accolgono
M.M.: “E che annegano, anche. Ahimè è vera questa cosa: due più lei che nuota all’infinito nella scena finale".
C.R.: “Come se tutti potessimo cominciare a nuotare un po’".
Il padre che parla siciliano è autoritario ma può rappresentare anche il posto che accoglie: penso ai lampedusiani che vorrebbero che arrivassero tutti vivi. porterete questo spettacolo anche all’estero o in posti direttamente coinvolti?
M.M.: “Adesso andiamo a Bologna e lo porteremo a Berlino, speriamo di portarlo anche in Sicilia. Ora che lo abbiamo ripreso suona più che mai di un’attualità che sgomenta".
È dettagliatissimo.
M.M.: “È la cosa incredibile del teatro, che parla di noi, oggi".
C.R.: “La storia è ispirata a un film di Philippe Lioret del 2009 che si chiama “Welcome” che racconta di un ragazzo iracheno che vuole raggiungere l’Inghilterra".
M.M.: “Una cosa che a lei sta veramente cara, tanto più da quando vive a Berlino. È l’inizio di una ricerca…”
C.R.: “…Che poi è andata avanti, ho continuato a lavorare su questo tema, ho creato un mio gruppo che si chiama Welcome project e il Lemming ha prodotto il mio primo lavoro. Ho lavorato proprio su questo tema con una ragazza libanese, una Kurda e una italiana che vivono in Germania".
Che percezione avete del mondo intellettuale emigrante? Loro come filtrano e come vogliono trasmettere all’Occidente quello che stanno vivendo?
C.R.: “Sabato scorso sono andata al concerto di un gruppo hip hop siriano: i testi erano sottotitolati e cercavano di far capire alle persone perché sono venuti qui e qual è la situazione che stanno vivendo lì, la rabbia e il dolore del fatto che non è facile lasciare il proprio paese. La Siria è in una situazione di guerra disperata e loro continuavano a dire della differenza tra prima e dopo, il fatto di essere lontani in questo momento; alcuni erano stati in prigione".
Quindi a Berlino, a questi ragazzi, è stato dato uno spazio per esprimersi.
“Il contesto era di una casa occupata, un cento sociale".
Quindi non un posto istituzionalizzato che può valorizzare e ascoltare gli intellettuali.
“Ci sono tanti progetti che prevedono collaborazioni con artisti e persone perché spesso il teatro è utilizzato come mezzo di integrazione".
Quindi si comincia ad interagire con gli artisti e gli intellettuali profughi.
“Sì, spero sempre di più, sinceramente: è una realtà che comincia a far parte della nostra cultura e bisogna accettare e dialogare".
nr. 12 anno XX del 2 aprile 2016