NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il jazz, la storia e Enrico Rava

È stata affidata ad uno dei musicisti italiani più famosi al mondo la chiusura del Festival Vicenza Jazz. Rava ci parla dei suoi straordinari incontri con i mostri sacri del jazz e delle sue esperienze musicali durante gli anni trascorsi in Argentina e negli Stati Uniti

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Enrico Rava

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

(foto di Riccardo Contarin)

 

 

Il festival Vicenza Jazz si è concluso al Teatro Olimpico col concerto di uno dei jazzisti italiani più famosi nel mondo, Enrico Rava. Accompagnato sul palco da un ensemble di giovani musicisti Rava ha offerto unn applauditissimo concerto di musica freejazz fruibile anche a spettatori che non hanno particolare familiarità con questo genere. Rava è sulle scene da decenni, ha vissuto anche in America e in Argentina e ha conosciuto di persona molti dei nomi fondamentali del jazz e del tango.

 

Lei ha incontrato e ascoltato direttamente i più grandi nomi del jazz come Duke Ellington, Luis Armstrong, Miles Davis. Nel suo ensemble ci sono musicisti giovani. Le nuove generazioni risentono dell’influenza dei capisaldi del passato tanto quanto ne siete ispirati voi che li avete vissuti in prima persona?

Enrico Rava (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Enrico Rava: “Penso proprio di si perché questi hanno inventato questa musica. Magari i giovani non conoscono gli albori tipo gli anni ’20 ma conoscono benissimo Duke Ellington, Parker, Monk: questi sono i numi ispiratori anche perché sono stati immensi e irrimpiazzabili, soprattutto”.

Lei ha vissuto sia in Italia che in Argentina che a New York. Sia il Nord che il Sud America sono terre le cui popolazioni sono formate da migranti. Come mai migrazioni che provenivano dall’Europa hanno creato generi musicali così diversi tra loro?

“In Sud America, e in particolare nei Caraibi, gli spagnoli non vietavano agli schiavi africani di praticare la loro religione o suonare la loro musica e parlare la loro lingua; quindi questa cultura africana, ancora africana per davvero, autentica, mescolandosi, non so, con la musica spagnola sono nate queste musiche come la cubana, in Brasile si è mescolato il fado con le musiche africane ed è nato il samba. In America è molto diverso perché gli inglesi, agli schiavi africani, vietavano sia la pratica della loro religione che della musica che della lingua, quindi quello che ci arriva dagli africani americani, diciamo fine ‘800, non è una musica africana, ma un ricordo vaghissimo dei loro ritmi. C’è solo questa cosa che differenzia moltissimo la musica europea dal jazz: mentre noi abbiamo un ritmo rigido, loro hanno un ritmo più elastico, è come una palla da basket. Quindi questo ricordo dell’Africa, molto vago, si fonde a New Orleans con la musica da salotto francese, con la musica sacra inglese e con l’opera italiana: nasce questa musica, all’epoca c’era il ragtime. Da queste radici è nato anche il funk, la soul e tutta questa musica”.

Forse oggi con l’hip hop si sono ripresi un po’ i loro ritmi africani.

“Si ma di ritorno però”.

Non sono quelli antichi tradizionali?

“No assolutamente”.

Enrico Rava (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Lei ha conosciuto bene Astor Piazzolla: all’inizio fu osteggiato perché portava il tango nei teatri, oggi invece è normale vedere un concerto di tango o di jazz in un teatro. Ha giovato al jazz e al tango il fatto di essere elevati da musica popolare a genere per intenditori?

“Il tango era un popolare di altissimo livello, per il popolo e per gli appassionati: le orchestre degli anni ‘30 con Pugliese o più tardi con il grandissimo Anibal Troilo, che era il maestro di Piazzolla, erano musicisti che avevano veramente un seguito di appassionati. Musica popolare cosa vuol dire?”.

Che molti la capiscono

“Oppure che molti la amano: fino agli anni ’40 era allo stesso tempo musica popolare che musica d’arte e si ballava con Benny Goodman e Duke Ellington nelle sale da ballo ma era musica di altissimo livello e questo vale anche per moltissima musica brasiliana: quando coincide la musica popolare con la musica d’arte è fantastico. Il tango è sempre stato popolare e per intenditori, Piazzolla all’inizio è stato molto osteggiato in Argentina, c’erano i conservatori contro questo nuovo tango che sembrava un tradimento, poi ovviamente ha trionfato e non si può dire che sia per intenditori, è una musica che si sente ovunque: pezzi come “Oblivion” li senti anche in aereo e in banca”.

Lei cosa pensa del successo che ebbero i Gotan Project: si diceva che era un tango molto commerciale.

“I Gotan Project, dico la verità, non li conosco; detto ciò, per me, la parola commerciale non ha assolutamente un significato negativo: Michael Jackson è uno dei più grandi artisti del ‘900 ed era molto commerciale, lo stesso Prince ha venduto anche lui “miliardi” di dischi, quindi uno può dire commerciale ma è anche molto creativo: non è un peccato riuscire a vendere, anzi sarebbe meglio”.

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