NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Zona Industriale. Che fine farà il capannone?

Mentre il mercato immobiliare attende la ripresa per il 2010 la crisi offre l'occasione per ripensare le aree produttive. Lazzari: “Servono coraggio e lungimiranza,
non solo metri cubi”.
Lavarra (FIAIP): “Ristrutturare”

di Paolo Usinabia
ladomenica@tvavicenza.it

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Zona Industriale. Che fine farà il capannone?

Un recente articolo di Repubblica descrive il Veneto come una sorta di cimitero, con fabbriche vuote, disoccupazione alle stelle, gente senza casa e concessionari vuoti. Una riproduzione a tinte forti, che però evidenzia un problema che da qualche anno si sta vivendo, quello dei capannoni sfitti.

In una nostra inchiesta di tre anni fa, rilevammo come, in virtù, o meglio, a causa della Tremonti bis, disegnata su misura per gli speculatori immobiliari, si fosse costruito a dismisura. Scatoloni inutili e anonimi, senza essere progettati con uno scopo preciso ma per essere venduti e utilizzati. A fronte di un'economia che già rallentava il nostro territorio è stato occupato nei pochi spazi che aveva vuoti. Ora, con la crisi, il problema si ingigantisce. Non c'è una statistica precisa, molto dipenderà dal 'decorso' della crisi e dalla possibile ripresa.

La questione delle aree industriali presta il fianco per qualche considerazione sulla zona industriale di Vicenza. Abbiamo interpellato l'assessore alla progettazione ed innovazione del territorio, Francesca Lazzari.

«A Vicenza - dice - esiste il problema delle vecchie aree dismesse, incastonate nel tessuto urbano, destinate ad essere trasformate (ex Domenichelli e Zambon). Per queste esiste già un itinerario di trasformazione affinché vengano essere reintegrate e "ricucite" alla città. Esiste un problema diverso e più complesso nella zona industriale, che è molto grande e a cavallo di tre comuni. Inutile dire che questa, al di là del momento di crisi e delle possibili dismissioni di impianti produttivi, fenomeno di cui non si conosce ancora esattamente l'entità, ha un impianto vecchio ed è soprattutto priva di servizi. Nelle sue problematiche è coinvolta anche la Fiera, che vive alcune difficoltà. In primis la scarsa mobilità e la scarsa qualità architettonica. Insomma nel suo complesso l'intera area è vecchia dal punto vista urbanistico, architettonico e logistico. Deve essere ripensata».

Che fare?

«La passata amministrazione voleva trasformarla con una variante, pensando semplicemente di concedere la destinazione commerciale. Su questo sono già note le mie perplessità. Credo che serva un progetto organico, complessivo, di ampie vedute. Non basta trasformare la destinazione d'uso di una parte anche perché dobbiamo considerare che le stesse aree commerciali cominciano ad avere problemi. Credo in sostanza che la scelta fatta in passato, di creare una zona industriale in quell'area debba essere resa virtuosa e questo può dipendere senza dubbio dalla capacità amministrativa ma soprattutto dal senso civico dei diretti interessati: gli industriali. Sono loro che devono ragionare con lo sguardo rivolto in avanti. Prendano l'esempio di altre città europee, valutino le potenzialità dell'economia, osservino le zone industriali più virtuose, gli edifici, le conversioni sia produttive che architettoniche. Da parte mia posso dire che nella zona industriale non mancano negozi ma servizi. Non esistono ristoranti di livello, asili nido, la qualità urbana è ai minimi termini. È la porta della città ed è proprio brutta. Un biglietto di presentazione orrendo. Se si pensa alla zona industriale solo a metri cubi, con il cervello dell'immobiliarista, non andiamo da nessuna parte. Ci vuole l'intelligenza di chi è proprietario».

Resta il problema dei capannoni sfitti.

«Non è nuovo. Già da anni è stato rilevato. Si parlava di un terzo degli immobili non utilizzati. Questo è un problema che compete i privati, nella fattispecie gli industriali. Se da parte nostra possiamo intervenire con la pianificazione del territorio, sono loro che gestiscono i trend dell'economia e devono avere un disegno chiaro di trasformazione della stessa, un progetto definito di sviluppo del manifatturiero. Se si svuota e delocalizza o si vuole che il capannone diventi negozio, ovvio che non ci si muove...».

Qualcuno (i costruttori) sostiene che bisogna avere il coraggio di abbattere e ricostruire.

«Mi trovano completamente d'accordo. Si possono ricavare aree libere, se buttiamo giù possiamo maggiore spazio nel quale stare e muoverci, si possono creare aree versi, migliorare la mobilità, rendere più vivibile una porzione di città che quotidianamente è frequentata da migliaia di utenti e lavoratori. Migliorare questa zona significa collegarla alla città e al contesto collinare che le sta vicino. Ora è una parta brutta e staccata dal resto».

Anche con lo sviluppo in altezza?

«Sì. Bisogna avere coraggio anche su questo. In altezza si consuma meno territorio. È un'area che si presta allo sviluppo in altezza. Vicenza non può essere concepita solo come medievale e rinascimentale. C'è poco territorio e bisogna saperlo sfruttare bene. Se vicino al centro storico bisogna saper rispettare alcuni parametri, nella zona industriale l'altezza non può essere un limite».

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