NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Meditare dal dentista la grandezza del Festival Biblico

Evento unico al mondo, peccato che per ora lo sappiamo solo a Vicenza e dintorni

di Stefano Ferrio

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Meditare dal dentista la grandezza del Festival Bi

L’altra mattina, accomodandosi sulla poltrona del dentista, ho pensato alla grandezza del Festival Biblico di Vicenza appena conclusosi. Al richiamo universale che è in grado di esercitare, Formidabile appeal che finora, non certo per responsabilità degli organizzatori, a cui vanno riconosciuti solo meriti, ha espresso solo in minima parta. Un po’ ho quindi avuto di che crucciarmi. E vi spiego perché, andando con ordine.

È infatti accaduto che, mentre l’infermiera preparava la siringa per l’anestesia, ho pregato. Ho intimamente recitato un Padre Nostro e un’Ave Maria, non tanto per chiedere aiuto al Signore o alla Vergine, quanto piuttosto a me stesso, da quasi cinquant’anni alle prese con ricorrenti mini-calvari odontoiatrici. Da un certo punto della mia vita in poi ho scoperto infatti che libero arbitrio significa semplicemente doversela sempre cavare da soli, o per lo meno agire in tal senso. Così ha dovuto fare Gesù di Nazareth nell’orto degli ulivi, sudando sangue per la paura e la solitudine, dando l’esempio a milioni di altri cristiani destinati a vivere dopo di lui. Per cui la preghiera è diventata per me esercizio interiore, da declinare in varie occasioni, comprese quelle in cui la utilizzo per farmi forza e affrontare quanto mi spetta. Nella fattispecie, seduto sulla poltrona del dentista, chiedevo a me stesso non il coraggio di sopportare il dolore, ma semplicemente quel minimo di dignità con cui ogni individuo è in grado di dare la giusta dimensione a ciò che gli tocca in quel luogo e a quell’ora. Mi è bastato pensare alle vittime del terremoto in Emilia per far scattare all’istante la terapeutica quantità di vergogna dovuta alla mia infinita piccolezza, e acquisire l’atteggiamento, silente e composto, più consono alla situazione.

Da questo punto di vista, sempre avendo in mente il Getsemani, di fronte a una flagellazione con successiva crocifissione, la cura canalare di un incisivo è un’incommensurabile inezia, ma anche questo pensiero ha puntualmente fatto parte della mia preghiera, e delle emozioni che ha interiormente suscitato. Dopodiché il dentista è stato straordinariamente bravo nel non farmi provare neppure una stilla di sofferenza, ma – miseria e grandezza assieme dell’animo umano – l’intensità del cimento è stata tale, che ho continuato a pensare alla preghiera. All’indefinibile, ma sicuramente grande, posto, che occupa nella vita di ognuno di noi. A maggior ragione sapendo che fede o non fede diventa un dilemma secondario di fronte all’indiscutibile realtà di un’umanità di credenti, ignavi e atei quotidianamente alle prese con l’esercizio di un qualcosa di molto intimo e forte dal mio punto di vista definibile come “preghiera”, fosse anche un semplice e sincero esame di coscienza (pratica molto più in voga, ancora secondo la mia esperienza, fra i non credenti che fra gli osservanti).

Tornando a viaggiare lungo le strade di Vicenza, il tema è ineluttabilmente diventato il Festival Biblico, giunto all’ottava edizione, e in programma fino al 27 maggio. Perché la sera prima ero stato nei pressi della cattedrale vicentina, stipata fino all’inverosimile da un pubblico militante e appassionato, radunatosi per assistere alla conversazione fra il teologo Enzo Bianchi e il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli sulle Scritture interpretate dal pensiero del cardinale Martini. Un collettivo trasporto così emozionante e contagioso che alla fine c’era chi chiedeva a Bianchi l’autografo non sulla prima pagina di un suo libro, ma addirittura sugli appunti presi con tremolante abnegazione, durante la lectio intervallata da splendide chicche cameristiche del Quartetto Quartini.

Per l’ottavo anno di fila sono tornato allora a considerare la clamorosa potenza del Festival Biblico, fatta di contenuti e, ancora prima, di originalità. Chiunque lavori nei media sa che, avendo l’opportunità di parlare mezz’ora di Vicenza, e di che cosa offre, con il capo dei servizi culturali di un grande giornale straniero come il New York Times, non avrebbe alternative al Festival Biblico. Perché, con tutto il rispetto e l’infinita riconoscenza dovuti a chi in città organizza con sacrifici e passione qualcos’altro, non c’è nulla di simile. Di così unico e coinvolgente.

Di spettacoli classici se ne allestiscono molti altri, magari non in un teatro come l’Olimpico, ma diretti e interpretati da artisti sovente più bravi di quanti passano per di qua. Di festival jazz esiste un catalogo sterminato, dove Vicenza deve sgomitare in mezzo a centinaia di altre città. Di sublimi cicli concertistici come gli annuali incontri con il maestro Andras Schiff i cinque continenti straripano per la fortuna di molti loro abitanti. La stessa, pregiatissima mostra con cui in ottobre riaprirà la Basilica Palladiana, accompagnando il visitatore in un itinerario pittorico teso da Raffaello a Picasso (sfogliando il cataloghino, cinque o sei meraviglie mischiate a più ordinaria bellezza, secondo lo stile dell’organizzatore Marco Goldin), rischierà di competere - e non è detto che vinca - con l’evento in sé del monumento nuovamente donato al pubblico.

E invece mettere in fila ogni primavera filosofi, cantautori e monsignori antimafia che come il Bauman, il Vecchioni e il Bregantini di quest’anno, invitati a interrogarsi e interrogarci pubblicamente su temi come il mondo, la musica e la speranza, non ha uguali, né – dato ancora più importante - ammette facilmente “copie” da inventarsi in giro per festival e kermesse di vario genere.

Da qui a far riconoscere al mondo questa grandezza squisitamente unica, ognuno vede che il passo è ancora lungo. Una strada forse difficile, ma percorribile. Se solo il Comune prendesse più profondamente atto di quest’occasione (pure turistica visto come, dati dei flussi alla mano, la religione muove di questi tempi masse di uomini e donne), si potrebbe compiere quel salto di qualità, soprattutto mediatico e promozionale, in grado di far assurgere il Festival Biblico di Vicenza a una dimensione universale che è nelle sue premesse e nelle sue corde. Perché siamo milioni e milioni ogni giorno occupati a pregare, interrogarci, imprecare, sperare e disperarci. E perché, di conseguenza, un festival del genere diventa semplicemente specchio di un’umanità composta da laici, preti, atei e amletici indecisi.

Non occorre invitare i Rolling Stones a parlare della loro simpatia per il diavolo e relative chance di redenzione, o Chralize Theron a recitare il Cantico dei Cantici, anche se sono idee per nulle disprezzabili. Basta già molto di quanto si propone, a patto di propagandarlo meglio, e di sostenerlo con maggior forza organizzativa e mediatica.

È il salto di qualità ampiamente meritato da quanti in questi anni, sospinti dalla pura forza della passione, hanno ideato e messo in piedi il Festival Biblico di Vicenza a costo di notevoli sacrifici.

Volontari e concittadini che ho ringraziato assieme al dentista.



nr. 21 anno XVII del 2 giugno 2012

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