NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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In mezzo all'arte spuntano le orme della guerra

Il Casabianca di Malo ricorda per il centenario 15/18 il tempo poco felice in cui era destinato a carcere militare - Recuperate le pesanti porte con gli spioncini delle dieci celle e interamente ricostruita la pianta di quella che era una vera e propria casa di detenzione sorvegliata dai Carabinieri - Il museo rafforza così la sua funzione culturale di archivio e memoria storica

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In mezzo all'arte spuntano le orme della guerra

(g. ar.)- “Il rurale di casa Morandi ha assunto l’aspetto nuovo e repulsivo di vera e propria prigione coi soliti ripari alle finestre e sentinelle tutto all’intorno”. Poche, ma significative parole per dipingere adeguatamente un orizzonte di disperazione del quale è sicuramente rimasta scarsa memoria, ma che adesso, proprio mentre salgono di intensità e frequenza le celebrazioni per il centenario della guerra 15/18, acquista invece un peso decisivo se si vogliono ricordare davvero le infinite sfumature di quegli anni terribili di guerra che lambirono drammaticamente la pianura vicentina a ridosso dell'Altopiano.

In mezzo all'arte spuntano le orme della guerra (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Dal diario di mons. Raumer redatto dallo storico Kozlovic esce un ritratto di raro realismo anche ambientale in cui si capisce che i palazzi maladensi coinvolti effettivamente nel sistema giudiziario, di indagine e sviluppo dei fascicoli penali a carico dei militari trasferiti dal fronte alla pianura furono in realtà tre: Corielli, Marchioro e appunto Morandi, oggi sede fin dagli anni 70 del museo di grafica internazionale Casabianca.

Attorno a questo triangolo si sviluppa un momento storico che vede non soltanto il giudizio in genere molto pesante nei confronti dei militari che venivano arrestati sulla linea del fronte e trasferiti nelle celle prima del giudizio, ma anche e nella stessa misura tutto il complicato panorama dei difficilissimi rapporti che scandivano la vita quotidiana delle truppe, dei loro comandanti e anche dell'autorità superiore che doveva alla fine arrivare ad una valutazione degli uni e degli altri tenendo conto del risultato delle operazioni di guerra, mentre centinaia di migliaia di giovani e giovanissimi sparivano ora dopo ora falciati dai combattimenti.

Tempi durissimi per decine di migliaia di giovani che dai due fronti opposti della guerra si sterminarono agli ordini di una classe militare che probabilmente non era preparata ad una guerra diversa da quelle dell'800 e che per questo non aveva altra strategia che la posizione in trincea a cui seguivano gli assalti alla baionetta. L'Altopiano è ancora seminato di residui bellici di ogni peso e misura. I recuperanti non ci sono più, ma basta spostare un po' di terra laddove ancora si vedono le tracce delle trincee e qualcosa alla fine si trova...

LO STRESS DEGLI ATTACCHI- Si sono spesi volumi interi per descrivere la fragilità del ruolo di un soldato, fante o alpino che fosse, di fronte alla durezza della vita di quegli anni, condannato a subire bombardamenti continui, a vivere in trincea e avendo come unica alternativa quella di uscire allo scoperto per andare all'attacco delle trincee nemiche. La storia dice che soni innumerevoli i casi di gente che troppo stressata e terrorizzata ha girato le spalle all'obiettivo da raggiungere ed ha tentato di crearsi un'altra possibilità nascondendosi da qualche parte per non farsi più ritrovare. La stessa storia racconta nei suoi documenti di diserzioni e fucilazioni, ma anche di esecuzioni di uomini che dovevano ancora disertare, i quali stavano probabilmente anche solo pensando di disertare, e che per la loro esitazione di fronte al dovere venivano prima minacciati dalle pattuglie di Carabinieri che seguivano le linee in avanzamento, e poi abbattuti alle spalle se non obbedivano rapidamente all'ordine di continuare l'attacco.

QUANTE LE VERE FUCILAZIONI?- Ma anche su questo punto la storia non sempre racconta proprio tutto. Giobatta Meneguzzo racconta che da documenti letti e riletti e ora messi in vetrina del Casabianca di Malo come premessa per la mostra-"contro" della guerra 15/18, risulta che quello della fucilazione alle spalle per chi si fermava era in buona parte uno spauracchio utilizzato dai comandi militari per dissuadere i soldati dalla voglia di disertare e scapparsene a casa. Era insomma una minaccia pesantissima che otteneva lo scopo anche perchè non si sa esattamente quante, ma certo molte fucilazioni furono recitate, spostando poi le "vittime" in altri settori del fronte: lo scopo dell'intimidazione era facilmente ottenuto verso gli altri che avevano visto, ma si evitava di fatto di perdere uomini che potevano effettivamente combattere.

Per dire insomma che insieme con i legami direttamente intrecciati alla storia di Malo il museo Casabianca mette in mostra un interessante ed inedito orizzonte della guerra, riportando in luce la pianta del carcere che occupava appunto i locali del museo, gli strumenti di detenzione come le pesanti porte "ornate" di spioncini che sono ancora quelli originali, e di sfondo a tutto questo la precisa volontà di mantenere al museo quel rigore di funzioni e di destinazione culturale che non ha subìto discontinuità di sorta dalla sua fondazione negli anni 70 fino ad oggi. Meneguzzo spiega anche che nell'evoluzione del suo lavoro ha distinto ed ottenuto due fasi distinte nella vita del Casabianca: la funzione di museo laboratorio fino al 1990 e dal 1990 in poi la trasformazione di quella missione precedente nell'altra che di fatto ha portato al museo archivio. Le raccolte sono importanti, la lunga vita di questa istituzione nata e mantenuta in vita dalle sole forze del suo inventore e curatore ha permesso di ordinare pazientemente un lunghissimo lavoro di ricerca e catalogazione di documenti, serie di riviste specializzate, rassegne stampa su temi specifici, offerta di affiancamento culturale al mondo della scuola, ma anche al mondo della produzione, entrambi interessati in vario grado a questa realtà.



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