NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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La memoria del mondo conservata a Sant’Urbano

Come il libro di un giovane scrittore sulla piccola frazione di Montecchio aiuta tutti a guardarsi indietro

di Stefano Ferrio

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La memoria del mondo conservata a Sant’Urbano

Test a bruciapelo per gli over quaranta: ricordate l’appello della prima elementare? Il numero di telefono di casa quando eravate piccoli? L’età che avevate quando vi hanno lasciato indossare il primo paio di pantaloni lunghi, o la prima “mini”?

Chi riesce a rispondere correttamente a queste tre domande può scrivere a Carlo Conti, e chiedergli di inventare un quiz apposta per lui, perché all’Eredità serve un altro tipo di preparazione. Ricordi, piuttosto che nozioni. Già, qui si parla di Memoria e, a naso, in giro se ne trova sempre meno, intesa come Bene Comune, linguaggio attraverso cui intrecciare fili, riconoscere persone, comunicare esperienze.

Che si tratti di un patrimonio prima ancora che prezioso, necessario, salta fuori in continuazione. Da uomini e donne sempre più affamati di ritrovare nessi, sciogliere nodi, capire da dove si viene e perché. A Vicenza se n’è appena avuto riprova all’Istrevi, l’Istituto storico della Resistenza, dove hanno subito l’assalto delle prenotazioni per la Domenica sull’Altopiano (il 10 giugno o, in caso di maltempo, il 17) dedicata alla rievocazione “in loco” de “I piccoli maestri”, amatissimo romanzo che Gigi Meneghello dedicò alla guerra di liberazione combattuta in prima persona contro i nazifascisti, a fianco di partigiani come Dante Caneva, Renzo Ghiotto e Mario Mirri. Questi ultimi tre sono stati festeggiati giorni fa al Comune di Vicenza in occasione di un’altra, affollata cerimonia, quasi la gente sentisse il bisogno di vedere di persona e toccare con mano concittadini a cui dire non solo grazie per avere combattuto, ma anche conferme circa quel passato, quei racconti sentiti a casa tanto tempo fa, quei conflitti che nel nostro Paese non hanno ancora smesso di seminare conseguenze, lasciti ingombranti, veleni mai debellati con gli antidoti giusti.

Ma è davvero così indigesto questo Presente, costantemente divorato e riciclato dai demoni dell’Attualità? È davvero così difficile scorgere un qualsiasi nostro ieri oltre l’assordante e incessante rumore di fondo delle news, dei bip, degli squilli di telefonino, delle ultime appena strillate in giro da Facebook? Se non è una Mission Impossible 5, poco ci manca, o per lo meno è un evento che sa di miracolo, a giudicare dal successo di un qualsiasi revival in grado di farci rimettere il naso in uno “Yesterday” dai tratti ineluttabilmente mitizzati, e quindi favolosi. Il semplice fatto di avere lanciato l’appello di un “Come eravamo” musicale rivolto ai soli vicentini, per la sera del prossimo 21 giugno ha già raggruppato quasi una ventina di band nostrane, i cui componenti più familiari e amici bastano a riempire da soli un quarto di Campo Marzo. Non a caso l’iniziativa, promossa dal glorioso ex Bath Soap Beppe Stimamiglio, riprende lo stesso titolo, “Una città piena di complessi”, del fortunatissimo volume amarcord, “Una provincia piena di complessi”, curato da Roberto Stringa e lo scorso dicembre andato “bruciato” in un baleno, non appena presentato al pubblico.

Ma, mezzo secolo fa, suonavano così bene, e così meglio dei loro attuali eredi impegnati nelle heavy o rap band dei nostri dì, gli Apostholi con la “h”, i Girovaghi, o “Ivano e i Vani” di cui si apprende dal cartellone della grande Notte vicentina? Probabilmente no, ed è anzi vero il contrario, e cioè che il nipotino di uno Stranger o di un Notturno “slappa” meglio il basso di quanto gli zii e i nonni si industriavano con batterie, chitarre e pianole di quei concerti appesi al più classico filo della luce. Il punto è un altro, e non si sa bene quanto collocarlo nell’ossessiva precarietà del presente piuttosto che nelle adamantine illusioni di quel passato. E’ dunque questione di Memoria.

Che, ecco il bello, non è automatico appannaggio di quanti hanno l’età di chi c’è stato, ha visto e ha toccato con mano. Se un qualsiasi abitante di Sant’Urbano, gloriosa frazione di Montecchio Maggiore, non ricorda i nomi delle osterie, dei parroci e delle maestre che hanno fatto la storia del paese, trova ogni risposta immaginabile in un ventiquattrenne nato da quelle parti. Si chiama Michele Santuliana e le edizioni Biblioteca dell’Immagine hanno appena pubblicato il suo accurato e toccante “Il paese silenzioso”. Libro più che consolatorio, davvero benefico per quanti non si arrendono a questo eterno e vuoto presente, preferendo invece guardarsi intorno. Fino a trovare qualcuno o qualcosa il cui nome è semplicemente uno degli infiniti nomi della Memoria.

 

nr. 22 anno XVII del 9 giugno 2012

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