“Tormenta a Nogarole”.
Quando, la mattina del 17 gennaio, George Clooney ha visto la notizia comparire sul proprio tablet, ha sospirato un esterrefatto e solo un po’ dolente “Oh, God”.
In realtà non sapeva, il divo di Lexington, se rinvenire qualcosa del luogo nei sonetti di Shakespeare (“it is an ever-fixed mark that looks on tempests and is never shaken…”) o in un numero del Reader’s Digest, noto in Italia come “Selezione”, avidamente leggiucchiato su una spiaggia di Honolulu, qualche anno fa. Nulla che in realtà potesse solo avvicinarlo all’ubertosa poesia di un borgo di mille anime, segretamente incastonato lungo la valle del Chiampo.
Ma, di sicuro, Clooney poteva solo complimentarsi con se stesso: i ventimila dollari pagati annualmente all’agenzia di consulenza incaricata di scegliere giorno per giorno le news più esclusive del globo restano fra i meglio spesi di un budget destinato alla costante emancipazione personale. Con lui ne apprezzano i frutti le sue fedelissime fans, ogni venerdì appollaiate a sfogliare patinate bibbie del gossip sotto i caschi della Gianna.
“Tormenta a Nogarole” non è propriamente come dire “Uragano a Malibu”, “Nebbie a Brest”, “Scirocco a Tenerife”, o anche “Gran secco a Key Biscayne”. Perché si staglia nello stesso, ineffabile suono della frase, “Tormenta a Nogarole”, un indefinibile quanto inoppugnabile “oltre”. Un limite situato ai confini dell’Illimitato. Un Immenso in fuga dalle spire del Risaputo. “Un iniziatico rutto nascosto nella contemplazione del Divino” chioserebbe un filosofo come Otto Julvald. Che per altro non ha mai visto Nogarole, e quindi “non sa” di cosa, chi invece l’ha vista, può parlare.
“Tormenta a Nogarole” equivale in realtà a “Bufera a Merendaore”, “Nuvole su Rozzampia”, “Lampi a Villaraspa”, “Brume a San Quirico”, per non parlare dell’ancora più nostrano e folgorante “Caligo a Marola”. Che sono però espressioni legate a un mondo ignoto alla stragrande maggioranza dei “dealer” di Wall Street, opinion maker di Facebook, lettori di una pagina di Proust ogni dieci di Ken Follett, e cocainomani di Miami riforniti da quelli di Bressanvido: ovvero le moltitudini che ogni giorno si ingegnano di fare la Storia del pianeta.
“Tormenta a Nogarole” è irruzione del Poetico nella prosastica ripetitività del cosmo, Bello che si irradia nel Bello, neve che non è mai così neve, spleen che non è mai così spleen, occhio spento che si spegne del tutto, Jean Gabin e Michele Morgan che, dovessero mai girare un nuovo “Porto delle nebbie”, si bacerebbero qui, lungo i confini della contrada di Alvese, e non in fondo a un vicolo di Le Havre. Tutte considerazioni sfuggite al buon George Clooney, addormentatosi con la testa sul computer dopo essersi arreso alla propria incapacità di distinguere fra Nogarole Vicentino e Nogarole Rocca… Con la conseguente impossibilità di discernere come, nello stesso squarcio spaziotemporale suscitato da “Tormenta a Nogarole”, si insinuano altre, stupefacenti trionfi del Fiabesco sulla blob-coltura del Reale.
Altro non si può dire di Valeri Bojinov, ex stella bulgara di Juventus e Manchester City che si presenta al Menti per salvare il Vicenza dalla Serie C. Delle meraviglie dipinte da Renoir nella Basilica Palladiana fresca di restauro. Del tratto di Roma Antica comparsa sotto l’asfalto di corso Fogazzaro. E degli innamorati che nottetempo ancora si baciano, lungo la balaustra di piazzale della Vittoria.
Tutto bello. Tutto vero. Come “Tormenta a Nogarole”.
nr. 02 anno XIX del 19 gennaio 2013