Basta abbonarsi a “The Big Sister”, la Grande Sorella, e tutti i file della nuova, appena inaugurata, videosorveglianza della Basilica Palladiana – come per altro succedeva con quella vecchia – ti arrivano, al massimo il giorno dopo, sul computer. Compresi i plumbei silenzi di due coniugi di Gambugliano ormai a un passo dal divorzio, le vaghe tracce di cocaina individuabili sul colletto della giacca di un orafo di Zovencedo, e la direzione presa dal sorriso con cui un’avvocata dalle cause perse molto nota in città manda inequivocabili segnali al suo amante assessore di una florida cittadina veneta, appena arrivato a braccetto della moglie in dolce attesa.

Tutto pagato a prezzo carissimo, e ovviamente vagliato da una regia che ad esempio sa quanto sia meglio tagliare la visita di un agente della Cia di passaggio a Vicenza, e alloggiato alla caserma Ederle. Ma, nello stesso tempo, merce a suo modo “genuina”, perché comunque ricca di dati, indiscrezioni, vita rubacchiata qua e là.

Poi tocca ai clienti dell’agenzia decidere se usarli o meno. Perché ognuno di loro, a seconda di quanto paga, dispone di un carnet che, fra circa diecimila location sparse per il mondo, può arrivare fino a cento “occhi”, “eyes”, come vengono chiamati nel linguaggio del sistema. Ovviamente gira la voce che certi tycoon della Tv mondiale - affamati di qualsiasi spunto possa essere tramutato in fiction, reality o docu-qualcosa – sborsino milioni di dollari all’anno pur di possedere la virtuale possibilità di “vedere tutto”. Ma anche questo fa parte del gioco, fatto di ipotesi e illazioni, innescato sin dalle prime news relative a “The Big Sister”, nome scherzosamente evocativo del Big Brother, il grande fratello di George Orwell, a suo tempo scelto dal maragià, e produttore televisivo, indiano proprietario dell’agenzia.

“Perché notoriamente la sorella del grande fratello è più furba di lui, ma anche un po’ più puttanella” ha dichiarato il miliardario di Doddaballapur nell’intervista rilasciata a un autorevole magazine del suo Paese. Dove “The Big Sister” non è un mistero per nessuno, e dove è altrettanto risaputo il debole che il maragià non nasconde per il suo amante, un famoso e controverso regista di soap opera girate a Bollywood, favolosa Mecca del cinema e “made in India”. È Lalit Narang, autore di “feuilleton” audiovisivi fra cui ha fatto un certo scalpore nel Vicentino quello dove, nel sogno allucinogeno di un maestro yogi datosi alla pornografia, si vedono nella stessa scena il Ridge di “Beautiful” clonato da un computer, due vecchie ziette a passeggio per contra’ Porti, e una specie di nipote di Sandokan-Kabir Bedi costretto a fare lo stallone per pagarsi le quotidiani dosi di droga. Titolo italiano del serial “Villa degli elefanti”, motivo dello scandalo l’esorbitante mole di dati audiovisivi finiti in possesso di Narang, decisissimo ora a girare una misteriosa versione indiana della storia di Buffalo Bill.

Fermarsi qui può bastare per suscitare ulteriori curiosità o, al contrario, per ipotizzare che vi stiamo raccontando un sacco di (deliziose) frottole telematiche? Se volete farvi un’idea, sappiate che le stesse notizie di cui vi diamo conto stanno circolando in questi giorni in altre città e luoghi del mondo, fra cui Tegucigalpa, Leicester, Odessa, Valeggio sul Mincio, Tenerife e Kansas City. Lo potete verificare di persona nella rassegna stampa lasciata a disposizione di chiunque nella sala lettura della Biblioteca Bertoliana. Dove The Big Sister, per il momento, pare non sia ancora arrivata.

nr. 06 anno XVIII del 16 febbraio 2013