NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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In Italia ci sono ancora fessi e furbi: la lezione di Giuseppe Prezzolini

di Italo Francesco Baldo

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In Italia ci sono ancora fessi e furbi: la lezione

È facile uso, per la cosiddetta cultura ufficiale e soprattutto di quella che ritiene di dover parlare solo di quello o di chi ha una facile applicazione per il proprio discorso, dimenticarsi d’importanti personaggi storici, di pensatori o semplici protagonisti. In momenti di crisi costoro potrebbero fornire buoni suggerimenti o perlomeno stimolare ad uno spirito critico, non fine a se stesso, ma propositivo. Infatti, dagli errori, dai peccati dicevano un tempo i presbiteri che non s’intendevano di psicologia o sociologia o, peggio, di politica spoliticata, ma erano attenti alle persone, alla comunità e alle loro situazioni, si può imparare, anzi proprio riflettendo su questi, è possibile spesso trovare adeguate soluzioni. Ma bisogna avere coscienza di ciò.

Giuseppe Prezzolini con la sua sottile ironia e la chiarezza della denuncia non è sfugge a questo destino, come ad esempio Pitigrilli (Dino Segre (1893–1975) che andrebbe pure riscoperto.

Lo svizzero Roberto Salek, Giuseppe Prezzolini-Una biografia intellettuale, Introduzione di M. Biondi, Firenze, Le lettere, 2002, anni or sono ci ha invitato, tra i pochi, a cogliere aspetti e proposte proprio dell’uomo di cultura italiano. Infatti, il pensatore umbro, era nato a Perugia nel 1882 e morto a Lugano nel 1992, ebbe interessi in molti campi, partendo anche da una precisa introspezione, quasi la delineazione di una necessità autoanalitica, necessaria, prima di esaminare il mondo. La sua autenticità lo collegò a pensatori, poeti in ogni campo e anche in sede internazionale. Fondò con Giovanni Papini (1881-1956) la rivista La Voce luogo d’incontro e di dibattito e sempre con lo scrittore fiorentino il Leonardo 1903, dove si firmava con lo pseudonimo di Giuliano il Sofista. Il pensatore intendeva esprime una visione al di là del mero accadimento storico, pur considerandolo e ritenendo che esso doveva essere sempre un momento per pensare al futuro. Il rifiuto di ogni dimensione vincolante caratterizza proprio la sua biografia intellettuale, che ebbe al centro una prospettiva che si riallacciava all’intuizionismo di Hanry Bergson (1859-1941), che frequentò nel suo soggiorno a Parigi, e alla dimensione di un’evoluzione creatrice che non si ferma all’immediato, ma tende a scoprire il punto omega dell’esistenza, ma non si fermò in questa riflessione. Si accostò all’idealismo crociano e negli anni venti iniziò a interessarsi alla politica ed in particolare al protagonista di quelle vicende. Benito Mussolini gli apparve come la nuova prospettiva ideale ed esistenziale della vita italiana. La sua tensione verso obiettivi sempre più alti ed ideali, lo spinse però nel 1925, quando il fascismo si trasformò in una dittatura che negava la stessa possibilità di riflessioni alternative, come quella di A. Gramsci o di don Luigi Sturzo, ad allontanarsi dal fascismo e dal suo capo. Si rifugiò a Parigi, quasi a dimostrare che si deve cogliere la novità, ma non quando questa diventa “regime”. Non pensatore sul presente come troppi intellettuali oggigiorno fanno per scopi troppo individualistici ed economici, n’è dimostrazione l’accoglienza che costoro fecero nel 1925 al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile, ma un uomo di cultura capace di leggere a distanza il movimento storico, consapevole anche dei suoi limiti. Fu oppositore, consapevole di aver prima aderito, non negò mai la sua stagione vicina al fascismo, ma fu capace di ritornare in Italia dopo il secondo conflitto mondiale per dare il suo contributo alla ricostruzione degli italiani. Non aderì, come fecero molti antifascisti dell’ultima ora a partiti o movimenti, ma subito si accorse del conformismo degli stenterelli, di quegli idealisti che mirino alla greppia più che alla nobiltà della politica. Ebbe il coraggio di andarsene nuovamente e visse a New York, da lì a Lugano. Troppo tardi ci si accorse di lui, ma la rilettura delle sue opere Che cosa è il modernismo, L’arte di persuadere, L’Italia che scrive, Codice della vita italiana, America in pantofole, Manifesto dei conservatori e degli innumerevoli altri scritti e dell’immenso epistolario ci aiutano a comprendere che il Novecento produsse in Italia uomini di gran calibro, capaci d’autentica critica. Fu protagonista, dicevamo, ed i suoi scritti mostrano che egli in prima persona, è il personaggio chiave delle sue opere. L’autobiografia e la trasmissione delle proprie idee e valutazioni furono lo scopo dello scrivere di Prezzolini. Non bisogna però dimenticare che egli si dedicò anche alla biografia. Sua è la biografia di Benito Mussolini per la collana Medaglie dell’editore A.F. Formaggini; collana che andrebbe ripubblicata, basti ricordare che in essa Prezzolini traccia anche la vita di Giov. Amendola e E. Bonaiuti, quella di A. Loisy, e S. d’Amico e quella del dimenticato C.A. Salustri (Trilusssa), ma vi sono poi le biografie di G.D’Annunzio, M.K. Gandhi, G. Papini, A. Ratti, L. Sturzo, F.Turati, senza pregiudizio e siamo nel 1925. Protagonisti vivi della storia costoro, non ricordi ma impegno reale nella vita quotidiana. Giuseppe Prezzolini da par suo non volle scrivere un’agiografia, ma volle rischiare, si tratta, afferma “ di guardare in faccia ad una – realtà – e di giudicarla, quanto è possibile, imparzialmente, senza timore di parere servili o irriverenti. Se vi saranno parole d’ammirazione si pensi che io non ho atteso che Mussolini fosse al potere per scriverle, se vi saranno critiche, si pensi che non le ho formulate nei giorni in cui Mussolini pareva liquidato.” Quanti storici sono oggi in grado di avere questo criterio? Prezzolini non fu servile, perché non fu schierato tanto per esserlo, non aveva bisogno e soprattutto ciò non apparteneva al suo stile. Non volle, infatti, piacere ai partiti, la sua biografia “ non può che dispiacere a coloro i quali vogliono vedere tutto bianco o tutto nero, e trovare negli scritti la giustificazione ragionata dei propri interessi e delle proprie simpatie.” In questa prospettiva la biografia di Mussolini non è scritta per essere serva di parte, ma “ per quel migliaio di persone le quali, militando nei partiti più vari serbano un angolo del loro cuore e della loro mente p0uro dalle passioni del momento e si sentono orgogliose di appartenere ad un partito superiore a quelli politici.” Frutto d’autentica intelligenza la vita di Prezzolini, conscio che quando l’intellettuale si fa servo di partito, non importa quale, nega la sua capacità di critica e la dignità d’uomo come essere libero. Quanto in politica dovremo riflettere sulle sue parole. Un testo a questo proposito può farci solo del bene, bene civile intendo e al quale andare sovente per comprendere gli errori passati, presenti e quelli che potremo compiere nel futuro.

Poco prima di decisi avvenimenti per lo Stato Italiano, Prezzolini pubblicò una lettera su “La Rivoluzione liberale” (n. 28, 28 settembre 1922), formulando di dar vita ad una Società degli Apoti, cioè di individui liberi, raggruppati tra loro, che non parteggiano e che vogliono differenziarsi dalla vita e dalla malavita pubblica quale correva proprio in quel periodo difficile e che vedeva solo lo scontro fratricida tra opposte fazioni, che non pacificava, ma suscitava lotta. Difficile era venirne a capo, se ne venne, ma quanti italiani rinunciare alle proprie idee per cheto vivere e non con queste partecipare al miglioramento della vita sociale. Sappiamo come andarono le faccende in ottobre, giusto un mese dopo il suggerimento di Prezzolini. Egli, come abbiamo già detto, si schierò, fu un’idealità che molti colsero e che in tutti i tempi avvince i giovani che sono “incendiari”, per poi diventare con la saggezza dell’età “pompieri”. Quanto son tristanzuoli quei vecchietti che ancora sognano la rivoluzione del ’68 e ancor oggi brigano per modellare i pensieri dei giovani nelle scuole, figliando per qualche ora, dei seguaci che li accontentano nella loro realtà sognata, ma rottamata dalla storia.

In Italia ci sono ancora fessi e furbi: la lezione (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 

 accà nisciuno è fesso

 

Il testo per comprendere la visione che Prezzolini ebbe degli Italiani è Codice della vita italiana,

Firenze, Società anonima editrice La Voce, 1921. In una serie di agili capitoli l’uomo di cultura delinea velocemente chi sono i cittadini italiani e a quali categorie appartengano. Essi sono o fessi o furbi. I primi non hanno una vera e propria definizione, ma uno è fesso: ” se uno paga il biglietto intero in ferrovia; non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente sulla magistratura, nella pubblica istruzione, ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all'agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc.” e magari usano qualche volta parole chiare per esprimere il loro pensiero e non si mascherano dietro necessità o vantaggi. Quanti saltano invece sul carro del vincitore! Sono costoro i “furbi”: infatti, prosegue Prezzolini: ” Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle.” Non si tratta di un’intelligente, che spesso è più facilmente un fesso, ma di colui che secondo i modi in uso adotta distintivi tipici,. Un tempo pelliccia per la moglie, meglio se per l’amante,una bell’automobile, magari un Suv, frequentare il locale alla moda, essere presenti sempre al momento giusto e trasformare le banalità in avvenimenti eccezionali, impossessandosi di quanto fatto da altri. Non scoprendosi mai se non quando il vincitore è ben chiaro. Il furbo non ha fini di bene, di bene comune da perseguire, ma solo il proprio vantaggio, in combutta con chiunque glielo garantisca. Disposto perfino a compiere qualche rinuncia, mai però a perdere.

 Il fesso ha invece dei principi che ritiene importante rispettare e che si esprimono nella parola “dovere”; il furbo ha invece solo fini o meglio si direbbe oggi “diritti”, pregressi, acquisiti e inviolabili, predicati come “diritti di natura”, quasi si trattasse di lex dvina. Prosegue con chiarezza Prezzolini:”

Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo.

L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.

Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido, avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo.

Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.

Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandare via i furbi. Ma non possono: 1) perché sono fessi; 2) perché gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono.

Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l'altro è migliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo che consiste nel far loro paura: 1) perché non c'è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere; 2) perché non c'è furbo che non preferisca il quieto vivere alla lotta, e l'associazione con altri briganti alla guerra contro questi.

Il fesso s’interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo sopratutto a quello della distribuzione.

L'Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l'italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l'esempio e la dottrina corrente – che non si trova nei libri – insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l'ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparare la lezione per un'altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l'Italia, è appunto l'effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.”

Non mancano poi le riflessioni nel testo Codice della vita italiana sulla giustizia e sono di grand’attualità:”Non è vero, in modo assoluto, che in Italia, non esista giustizia. È invece vero che non bisogna chiederla al giudice, bensì al deputato, al Ministro, al giornalista, all'avvocato influente ecc.”

Poi la piaga delle raccomandazioni, dei favori, del “ci penso io”, del “farò tutto quello che è possibile”…basta passare poi alla mia cassa o al posto per il mio figliolo, ecc.

In politica poi le cose in Italia son sempre “strane; infatti:”L'Italia non è democratica né aristocratica. È anarchica.

Tutto il male dell'Italia viene dall'anarchia. Ma anche tutto il bene.

In Italia contro l'arbitrio che viene dall'alto non si è trovato altro rimedio che la disobbedienza che viene dal basso.

In Italia il Governo non comanda. In generale in Italia nessuno comanda, ma tutti s’impongono.

L'italiano obbedisce al prestigio personale ed alla capacità di interessare sentimentalmente o materialmente la folla.

L'uomo politico in Italia è uomo avvocato. Il dire niente in molte parole è stata sempre la prima qualità degli uomini politici; che se hanno sommato il dire niente al parlare fiorito, hanno raggiunto la perfezione.

Seguono poi riflessioni diverse anche sulla famiglia, che mostrano come poco sia cambiato, perché non dei fessi è la famiglia, cioè un dovere, ma un diritto chiaramente…dei furbi:” In Italia l'uomo è sempre poligamo. La donna è poliandra. (Quando può.)

La famiglia è la proprietà del capo di famiglia. La moglie è un oggetto di proprietà. Se abbandona si può uccidere. Viceversa non è ammesso che possa uccidere, se la si abbandona.

La moglie ha la sua posizione sociale segnata fra la serva e l'amante. Un po' più in su della serva e un po' più giù dell'amante. Fa le giornate da serva e le notti da amante.”

E cos’ via, come l’affermazione :”In Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio.” Oppure:”C'è un ideale assai diffuso in Italia: guadagnar molto faticando poco. Quando questo è irrealizzabile, subentra un sottoideale: guadagnar poco faticando meno.”

C’ì ne è anche per la scuola che “è fatta per avere il diploma. E il diploma? Il diploma è fatto per avere il posto. E il posto? Il posto è fatto per guadagnare. E guadagnare? È fatto per mangiare. Non c'è che il mangiare che abbia fine a se stesso, sia cioè un ideale. Salvo in coloro, in cui ha per fine il bere.”

Così l’incuria per ciò che è dello stato:” La roba di tutti (uffici, mobili dei medesimi, vagoni, biblioteche, giardini, musei, tempo pagato per lavorare, ecc.) è roba di nessuno.”

La serie è lunga e mette in evidenza sempre come in Italia siano i furbi ad averla vinta in un modo o nell’altro, tanto che oggi si afferma che: L’Italia non solo è ingovernabile, ma è irriformabile, secondo l’espressione riferibile al Duca di Salina né Il gattopardo: tutto cambia per restare sempre lo stesso tanto, afferma Prezzolini:”Il tempo è la cosa che più abbonda in Italia, visto lo spreco che se ne fa.”

Non vi è dunque speranza?

La risposta che fornisce Prezzolini è di un intelligente conservatorismo che non significa ipso facto un ritorno al fascismo come un giorno sì e l’altro pure sostiene la cosiddetta sinistra storica italiana, erede dei soviet, son passati armai 60 anni e di fascisti di Allora, Come di partigiani ne vivono ancora pochini, ne può far paura una certa destra nostalgica, che si chiude in un alzata di braccio d’honneur.

Il vero conservatore, afferma Prezzolini è colui che:” ha rispetto piuttosto per il tempo che per lo spazio, e tiene conto della qualità piuttosto che della quantità. Non disprezza le cognizioni, ma sa che non hanno valore senza principi. Sa andare all'indietro perché, per andare avanti, bisogna qualche volta arretrare per rendere meglio la spinta.

Prima di tutto il vero conservatore si guarderà bene dal confondersi con i reazionari, i retrogradi, i tradizionalisti, i nostalgici; perché intende continuare mantenendo, e non tornare indietro e rifare esperienze fallite. Il vero conservatore sa che a problemi nuovi occorrono risposte nuove, ispirate a principi permanenti, così non è contrario alle novità perché nuove; ma non scambia l'ignoranza degli innovatori per novità.

Meditare su tutto ciò, senza la consueta spocchia degli intellettuali di maniera, ossia i furbi, può aiutare veramente, ma se ci si chiude nella illusione di poter continuare nella condizione attuale, ben presto il ferro della ghigliottina potrà calare, Sì, perché quando una società continua a voler perseverare, ciò è diabolico, ma soprattutto è questa volta sì, da biechi reazionari, che si annidano proprio tra coloro che invece di riflettere sul dovere, pensano solo al diritto, consumando il futuro, che invece va conservato negli elementi che possono proporre autentiche novità, come, ad esempio, il tanto vituperato merito, di cui si parla, ma che non può essere attuato da coloro che sono senza merito nei posti, anche di insegnamento, che occupano.



nr. 41 anno XVIII del 23 novembre 2013

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