Ritorno sul tema della riforma della scuola perché è giunto il momento di formulare delle proposte, così come richiesto dal Premier Matteo Renzi e dalla Ministro alla Istruzione Stefania Giannini, e quindi tento di dare qualche suggerimento. Nel 1905, se non vado errato ma non credo, un gruppo di deputati socialisti proponeva alcune modifiche al sistema scolastico del tempo- Credo che esista anche un opuscolo che le ha raccolte e che serviva per far conoscere queste proposte al mondo della scuola. Una delle idee avanzate in quella occasione viene ancor oggi ad essere presente in sistemi scolastici di altri paesi. Da noi si insiste con l’arruolamento dei presidi, ora definiti, a mio avviso impropriamente, dirigenti scolastici, con dei concorsi che non mi sembrano diano sempre ottimi risultati. La proposta degli inizi del secolo scorso (che in conservatorio viene applicata anche in Italia e mi pare che funzioni), riportata succintamente potrebbe essere così descritta: il corpo docente di ruolo, o comunque stabilizzato in un complesso scolastico, vota a scrutinio segreto, il nome del candidato preside sulla base di un programma che questi ha redatto e proposto al collegio docenti, valevole per x anni (tre ad esempio)- Ogni docente di ruolo può candidarsi e indicare, successivamente, quale sarà la sua squadra, ovverossia il consiglio di presidenza, che dovrebbe operare, pur con dei limiti, quale un consiglio di amministrazione, che dovrà essere formato da almeno un rappresentante di ogni categoria componente la struttura scolastica. Quindi rappresentanti del corpo docente, del personale amministrativo e quello di servizio, delle famiglie, degli studenti. Ciò potrebbe comportare la cessazione della attività della rappresentanza delle famiglie in organismi istituzionali scolastici ma non vieterebbe che si formasse un comitato genitori a sostegno della scuola stessa. Un altro tema scottante e attuale è riferito all’esame di Stato, termine che non ha alcun riferimento alla reale natura del precedente esame di maturità, ma che sottolinea esclusivamente la natura giuridica di un esame che, per alcune situazioni nate all’interno del complessivo sistema scolastico, è superato e a mio avviso dovrebbe essere cancellato. Le discipline universitarie che pretendono di porre uno sbarramento all’ingresso degli allievi al corso universitario prescelto, causano una situazione che è in netto contrasto con l’anno scolastico impegnato sull’esame conclusivo. In altre parole l’alunno si trova nella necessità di prepararsi per il test d’ingresso all’università prima ancora di affrontare l’esame di Stato e necessariamente, il più delle volte – esistono naturalmente delle eccezioni- predilige l’uno o l’altro dei due naturalmente a scapito di uno di questi. Ritengo che sarebbe bene, ma non mi soffermo più di tanto, che in alcune discipline, vedi tutto il pacchetto relativo alla sanità, dovrebbe non effettuare il test d’ingresso ma accettare le formula, presente i altri Paesi, dell’anno di “prova”, al termine del quale sia l’università sia l’’allievo sa se il soggetto ha, o meno, disposizione per la futura professione. All’esame di Stato sostituirei un doppio scrutinio, effettuato evidentemente del corpo insegnanti della classe e preceduto da una serie di prove scritte e orali che riguardino tutte le materie scolastiche e il corso di appartenenza. Il primo scrutino dovrebbe svolgersi circa 45 giorni prima della conclusione dell’anno scolastico e, esclusivamente per coloro che non hanno superato alcune prove ma che si ritenga che possano recuperare le carenze di preparazione, si predispone un secondo, e definitivo scrutino sempre preceduto da prove, scritte e orali specifiche, praticamente alla conclusione dell’anno scolastico. In questa circostanza si definiscono i maturandi e i rimandati all’anno seguente. A tutti coloro che sono ritenuti maturi dovrebbe essere assegnato un test di valutazione dell’interesse che dovrebbe poi essere “consigliato” ad ogni singolo allievo. Da qualche anno si parla di autonomia dei complessi scolastici e sulla base di questa presunta autonomia si qualificano i presidi quali dirigenti scolastici. Mi permetto di osservare che un “dirigente” non si crea sulla base di un esame, ma sulla esperienza e sulle personali conoscenze e qualità. Nel passato la regina della scuola era la didattica, ora, al di là delle dichiarazioni di principio, appare essere la burocrazia che affossa ogni cosa non le risulti gradita. L’autonomia va anche specificata. Si deve definire se esiste uno spazio di autonomia didattica, fatta salva l’indicazione generale proveniente dal Ministero dell’Istruzione, e quale sia questo spazio autonomo dove può agire, non solo il complesso scolastico ma anche il singolo insegnante. L’autonomia economica è un fattore che dipende dai mezzi economici messi a disposizione dalla mano pubblica o da introiti privati. Anche in questo caso va specificato sia come entrano,e in che misura, i mezzi sia pubblici che privati, sia come possono essere spesi. Quindi quale spazio di autonomia può essere concesso ad uno specifico complesso scolastico. L’autonomia è, di fatto, la capacità di scelta, da parte degli aventi titolo, sulla base delle disponibilità. Ma, ad esempio, quale possibilità ha una dirigenza scolastica, una volta approvato un specifico piano integrativo didattico, di assumere un docente in base a quelle che si ritengono essere le sue capacità in una determinata disciplina ? Se in un determinato territorio esiste un sistema economico produttivo specifico, quali sono i margini di possibilità di integrazione di discipline che possano concorrere alla miglior preparazione degli alunni in relazione alle necessità del territorio? Sul piano economico le necessità dei complessi scolastici possono essere molto diverse sia per le strumentazioni, sia in riferimento alle sperimentazioni e alle didattiche applicate. Il contributo eventualmente assegnato dallo Sato e dagli Enti locali dovrebbe essere definito proprio in ragione di progetti approvati. Non “a pioggia” e nemmeno senza un riscontro. Quindi con un sistema che possa rappresentare una forma di controllo senza intaccare la autonomia- Complesso ma non impossibile. Ad esempio applicando un metodo analogo a quello utilizzato dalla Fondazioni bancarie. I contributi provenienti da privati dovrebbero essere legati a un codice etico che eviti la creazione di dipendenze di qualsiasi genere, particolarmente pericolose nel mondo della scuola. Questo appare ancora più difficile e delicato ma lo ritengo indispensabile. Concludo con una considerazione che può anche essere una proposta. Negli istituti scolastici più antichi è ancora possibile individuare una identità e, almeno in parte, un sentimento di appartenenza sia da parte del corpo docenti, sia da parte degli allievi. Va però notato che anche in questo tipo di istituti scolastici, rispetto al passato, anche recente, questo senso di appartenenza e di identità sta scemando. In quelli più recenti è assai raro che questi caratteri si intravvedano. Senza voler ripercorrere le esperienze della Trieste asburgica oppure di scuole inglesi o statunitensi, è da ritenersi importante, per un miglioramento sia del rapporto sociale interno all’istituto scolastico, sia per un miglioramento didattico, alimentare il senso di appartenenza e la identità della scuola. Sentirsi parte di un progetto culturale al quale è possibile dare un contributo riconoscibile nel risultato, è un elemento che certamente può favorire un sentimento di orgoglio, ma altrettanto può favorire un legame fra tutte le categorie impegnate nella specifica istituzione scolastica.
nr. 343 anno XIX del 4 ottobre 2014