G. De Chirico La musa della storia: Clio
Il dibattito sul valore e l’importanza della storia affondano le proprie radici nell’antichità, e proprio a Marco Tullio Cicerone e al suo scritto De oratore dobbiamo la più nota delle definizioni di storia. Essa è: testimone dei tempi, luce di verità, vita della memoria, maestra di vita...”. Questa scienza non è mai vista come semplice narrazione dei fatti, perché ha una finalità, e questa non è per la giustificazione di qualche posizione. Gli storici di parte e ve ne sono molti anche oggi, temono la stessa indagine che effettuano, perché li potrebbe smentire. Ecco quindi l’operazione storica, in altre parole stabilire aprioristicamente che cosa si deve indagare e mettere in luce.
Il caso più indicativo degli ultimi trent’anni è stato quello di Renzo Del Carria con il suo Proletari senza rivoluzione (Milano, Ed. Oriente, 1966, 2 voll.) Un testo nel quale per stessa ammissione dell’autore s’indaga la storia per dimostrare come la classe operaia non abbia saputo raggiungere il potere, perché essa non ha compiuto una vera rivoluzione concettuale. Nel Seicento o nel Settecento le plebi non avevano coscienza, e quindi non hanno potuto costruire realmente l’alternativa al dominio prima aristocratico e poi borghese. Gli avvenimenti riportati sono a favore di questo teorema. Le analisi storiche e ancor più i manuali di storia destinati alle scuole, procedono per teoremi, anzi per assiomi, perché si deve avere del passato solo un’immagine, soprattutto un’immagine che serva al presente della politica partitica. La nozione marxiana di storia, espressa proprio nel Manifesto del Partito Comunista del 1848: il presente spiega il passato è stata adottata ed è rintracciabile in quasi tutti i testi scolastici. Secondo le situazioni si afferma qualcosa o un’altra. In Italia, ad esempio si dimentica molto spesso che il Risorgimento non può essere antesignano della cosiddetta Resistenza. Ma richiamarsi alla Risorgimento nel secondo dopoguerra, significava collegarsi immediatamente a ideali e valori conosciuti da tutto il popolo, come ricordare i caduti del primo conflitto, come ben attesta Guareschi a proposito di un comizio di Peppone.
Molotov e Ribbentropp
I Sovietici e i Nazionalsocialisti ad accordo
Se chiedete poi ad uno studente dell’ultimo anno quale fu il casus belli della seconda guerra mondiale, vi risponderanno, forse, il nazismo, dimenticandosi del Patto Molotov-Ribbentrop sulla spartizione della Polonia, che vedeva coinvolta anche l’URSS. Se chiedete ancora chi furono i regimi totalitari, essi sono identificati nel fascismo e nel nazionalsocialismo e annessi. Ma del comunismo, nato prima di tutti nel 1917 e che la grandissima pensatrice Hanna Arendt qualifica come totalitarismo, non si parlerà, sarebbe scorretto e soprattutto revisionista. E’ ormai pratica comune della storiografia degli intellettuali qualificare qualsiasi storico non inquadrato come revisionista. La categoria di “revisionismo” ha un’importante storia e trae la propria origine nel testo di Vladimir Ulianov Lenin Marxismo e Revisionismo, scritto nel 1908. Con la nota lucidità Lenin giudica ogni tentativo di riconsiderare le teorie di Marx da parte della socialdemocrazia (Bernstein e Kautsky, in Italia Labriola, ecc.) come una revisione che porta a sostenere il capitalismo. Ciò deve essere combattuto con ogni mezzo. Infatti, “la lotta ideale del marxismo rivoluzionario contro il revisionismo alla fine del secolo XIX è soltanto il preludio delle grandi battaglie rivoluzionarie del proletariato, che avanza verso la vittoria completa della sua causa. Nonostante tutti i tentennamenti e le debolezze della piccola borghesia.” Così Lenin; da allora l’accusa di revisionismo data alle teorie e di revisionista agli studiosi non allineati è sempre stata collegata ad un’altra espressione, abbastanza infamante, quella di essere dei rinnegati. Così la sinistra intellettuale ha sempre temuto di essere messa alla berlina, perché la storia, la può disputare solo il partito e solo quanto il partito afferma, può essere sostenuto. Con l’ascesa di Krusciov si condannò, solo a parole, Stalin. Tutti poterono affermare e ancora oggi affermano sommessamente, che Stalin fu un dittatore, non Lenin, che invece sarebbe stato eletto democraticamente? Sostenere che la presa del Palazzo d’Inverno nell’ottobre 1917 non fu una rivoluzione, ma un colpo di Stato, è scorretto e revisionista. Ne segue quindi che ogni revisione è negativa, perché può portare nuova luce sugli avvenimenti e questi possono offrire più luce di verità. Quanta fatica per smentire Il Libro nero del Comunismo od Oro da Mosca, Come non ricordare che l’episodio di Malga Porzius è misconosciuto? Sono esempi, ma è proprio di costoro la paura della storia senza condizionamenti. Ecco quindi che si riprende l’antica e leniniana etichetta d’infamia per chi cerca con onestà la verità del passato: sei un revisionista. L’analisi degli avvenimenti storici non è mai una revisione, ma una ricerca di verità, non è interpretazione partitica o soggettiva, né può essere compiuta con un’idea storiografica ammessa a priori e considerata come l’unica valida.
Lo storico deve indagare con pudicizia, direbbe l’ottimo umanista Guarino Veronese. L’avversione del potere intellettuale e talora accademico di fronte alle analisi storiche non aderenti alle prospettive politicamente corrette, come nel caso di Renzo De Felice, non certo uomo di destra, che ebbe il gravissimo torto di voler delineare storicamente il fascismo, deve essere combattuta, perché non si tratta mai di revisionismo, cioè un fatto negativo, ma d’onestà dello storico nella ricerca della verità, anche quando questa porti a leggere e dover valutare gli avvenimenti in modo diverso, come fece l’onesto Renzo De Felice. Giova, infine, ricordare a chi ha paura della storia e bolla quella degli avversari come faceva Lenin, che la storia non è, come voleva Jean de La Fontane nel XVII secolo: “Una favola convenzionale”.
nr. 13 anno XX del 4 aprile 2015