Il fatto è presto detto: Il Ministero della Difesa ha istituito una “Medaglia della Liberazione”. A 71 anni dalla liberazione questa medaglia viene consegnata, dai prefetti, a quanti vengono riconosciuto quali eroi della Resistenza. Bellissima iniziativa che però, a Vicenza, trova sul suo cammino un problema che risulta essere, a mio avviso, la dimostrazione che a volte anche le migliori iniziative possono, se non bene misurate in tutti i particolari e seguite con la dovuta attenzione, possono essere motivo di riflessioni non del tutto positive. Anzi, in questo caso, decisamente negative. A Vicenza, lo riferisce abbondantemente la stampa locale, tra i premiati vi è un signore, che indubbiamente durante il periodo bellico ha fatto la scelta di partecipare alla Resistenza e ha combattuto con coraggio. Però questo fino a Liberazione avvenuta. Poi tutto cambia. Infatti partecipa all’eccidio di Schio. Un episodio che non può trovare alcune scusante, sotto nessun profilo, ne militare, ne politico e tanto meno umano. Traggo da Wikipedia “Un reparto di partigiani della brigata garibaldina, comandato da Piva Igino e Bortoloso Valentino (nomi di battaglia "Romero" e "Teppa"), irruppe nella notte del 6 luglio nel carcere mandamentale della città: non disponendo di elenchi di fascisti, li cercarono ma, non avendoli trovati, le vittime furono scelte tra i 99 detenuti del carcere. Tra questi, solo 8 erano stati indicati al momento dell'arresto come detenuti comuni, mentre 91 erano stati incarcerati come "politici" di possibile parte fascista, sebbene non tutti fossero ugualmente compromessi con il fascismo e in molti casi forse fossero stati arrestati per errore... Dopo un'approssimativa cernita, che suscitò contrasti tra gli stessi fucilatori: alcuni proposero che fossero risparmiate almeno le donne, che in genere non erano state arrestate per responsabilità personale ma solo fermate per legami personali con fascisti o per indurle a testimoniare nell'inchiesta in corso.
"Teppa" si oppose dicendo "Gli ordini sono ordini e vanno eseguiti", non disse da chi provenivano gli ordini (e non fu mai accertato, nonostante un processo apposito nel 1956. Dopo un'ora di incertezza, mentre alcuni partigiani non convinti si allontanarono, vennero uccise a colpi di mitraglia 54 persone, tra cui 14 donne (la più giovane di 16 anni), e ne vennero ferite numerose altre…”. Teppa, ventitreenne, venne condannato a morte da un tribunale militare inglese. La pena poi fu commutata in ergastolo e alla fine giunse l’amnistia e in carcere rimase solo 10 anni. Di tutto questo, pare, ne a Roma ne a Vicenza, in prefettura, vi fu qualcuno che se ne rese conto e quindi il prefetto consegnò anche a questo signore la Medaglia della Liberazione”. Alcuni commentatori dell’episodio ritengono che gli fosse anche dovuta, questa medaglia, perché aveva espiato la sua colpa, e quindi avendo pagato il debito verso la società, tornava ad essere un cittadino senza macchia. Questo mi pare un ragionamento almeno sul piano morale, del tutto assurdo. Il giornalista Ivano Tolettini del Giornale di Vicenza si chiede: “Ma un uomo che si è macchiato di un crimine così orrendo, 71 anni dopo merita addirittura un premio della Repubblica? “Personalmente penso che al di la delle valutazioni fatte dai proponenti o dai commentatori, a rinunciare alla medaglia doveva essere proprio il partigiano Teppa. Doveva, sempre a mio avviso, per dimostrare che era autenticamente pentito di aver partecipato, anzi essere stato tra chi la comandava, alla feroce strage del luglio del 1945 e di aver partecipato al massacro di tanti innocenti, di aver offeso la memoria di tanti autentici eroi, di aver infangato la Resistenza, fare un grande passo indietro dichiarando che non si sentiva degno di tale riconoscimento e approfittare della circostanza non per tentare di leggere un messaggio che, mi pare una autoesaltazione, come in effetti ha tentato di fare, ma per chiedere scusa ai Parenti delle Vittime, alla Città di Schio, alla Resistenza.
nr. 24 anno XXI del 25 giugno 2016