Una particolarissima performance è andata inscena questa settimana allo Spazio Bixio, minimalista e dedicata al sogno americano fallito. Presentato nell’ambito del cartellone Danza In Rete Off , rassegna collaterale del Festival Danza in Rete Vicenza_Schio, lo spettacolo dal titolo “Album” è impostato sulla durata di un famoso disco del ‘77 della punk band americana Suicide che viene suonato dal vivo su vinile. Il brano più famoso, “Frankie teardrop”, dura 10 minuti ed è la storia di un ragazzo di 20 anni che lavora in fabbrica ma non ce la fa, viene sfrattato, uccide moglie e figlio di 6 mesi, si suicida e finisce all’inferno. Abbiamo incontrato il danzautore Stefano Questorio della compagnia Aldes che ha vinto il Premio Speciale Ubu 2008 per la ricerca coreografica e di nuovo pubblico diventando riferimento nazionale.
Hai impostato lo spettacolo su una concezione di ascolto analogico: quando da ragazzini ascoltavamo questi dischi quasi li si subivano perché mettevi il disco, dovevi alzarti, prendere il braccetto, riuscire a prendere il solco ecc. il disco si ascoltava fino alla fine perché molto spesso aveva una concezione drammaturgica, il concept album. I giovani si rendono conto che è una fruizione che non ha nulla a che fare con il digitale?
Stefano Questorio: “I giovani che non hanno vissuto l’era analogica stanno riscoprendo questa cultura con grandissima fascinazione. La rinascita del vinile: non lo prendono quelli che li ascoltavano, ce li hanno già. Sono i giovani: la scoperta di un approccio alla musica in questo modo è stata una rivelazione, il fatto di mettere un disco sul piatto, di mettere la puntina, fare attenzione che non si rovini e poi metterlo via, l’immagine della copertina, l’oggetto…”.
C’erano delle immagini che segnavano le epoche.
“Sì, iconiche e iconografiche. L’attenzione con cui si facevano le copertine degli album era veramente fantastica, venivano chiamati artisti: se pensi a quello che aveva fatto Andy Warhol per i Velvet Underground, la banana che si pela; per i Rolling Stones, i jeans con la cerniera vera che tu strappavi, cose che in un CD sono impensabili, sono oggetti d’arte, non solo in ambito musicale. Io sono un appassionato di Polaroid, di cui c’è una riscoperta pazzesca. Un mio amico mi ha detto che gli piace il percorso analogico che sto facendo perché estremamente purificante in quest’epoca".
Per ogni traccia segui la pausa, il tempo del disco e proponi cose diverse: nella 3° si vede la tua mano che attraversa il neon, un’immagine cinematografica. Lì si va oltre la danza, è quasi fotografia. Quella è una delle tracce che più mi ha colpita per la tua visività: come dicevi nell’incontro col pubblico, il disco ha una sua drammaturgia e tempistica e il rischio didascalico è imminente, hai creato dei gesti minimi ma molto espressivi e questa tua visività attira forse più della musica.
“Sì, chiaro, è un gioco al palleggio, no? Non posso permettere che vinca la musica! Sennò ci mettiamo lì e facciamo un ascolto insieme di quest’album qui, che potrebbe essere anche interessante, però nel momento in cui io intervengo e faccio delle cose, la lancetta si deve spostare sulla scena; chiaramente non può vincere la musica".
La traccia 6 è la più famosa: c’è questo omicidio –suicidio di un disoccupato, quasi come succedesse in tempo reale. C’è un gesto quasi della morte del cigno: è voluto o è una di quelle cose che riaffiorano?
“Lì sono partito da una suggestione di danza butoh e l’ho trasformata. È una scrittura coreografica nei minimi dettagli , non c’è niente di casuale. Ha una forma ciclica: lui in piedi piano piano poi diventa la moglie, poi il figlio ucciso, poi lui, le urla nell’inferno, diventa che siamo tutti Frankie, diventa Cristo, tutta una serie di immagini che si innestano e che voglio che rimangano libere; tu ci hai visto questa cosa, un altro può vederci un sacrificio umano o la “Sagra della primavera” . Mi piace lavorare su segni polisemici, dove sono campi di significato che ognuno è libero di attraversare con libertà".
Ho visto delle citazioni di gestualità “pop underground”: il vogueing newyorkese, il coniglietto ecc. questo punk in cosa si discosta da quello inglese? Il punk americano può essere debitore della tradizione underground di Ed Wood, Russ Meyer, l’estetica fetish-pop di Bettie Page, artisti oggi “di genere” ma all’epoca trashissimi? Come si innesta nella musica?
“C’è tutto un filone musicale e culturale, specialmente a New York, che parte fondamentalmente dalla Factory di Andy Warhol, Velvet Underground, da lì gli Stooges di Iggy Pop e poi tutta l’epopea di Lou Reed per arrivare fino agli MC5 e ai New York Dolls, negli anni ’70. Quando è esploso il Punk erano già 10 anni che questi qua facevano cose che davano una grande strizzata d’occhio alla cultura bassa. Un passo dopo c’è il trash: John Waters è punk, se vuoi, tutti i film che ha fatto con Divine, “Pink Flamingos”, e tutte quelle cose, Russ Meyer, che hai detto tu. Il punk quando ha assunto quel nome era già un dato di fatto. Il punk inglese… è stato Malcolm McLaren che è andato negli USA, è diventato il promoter dei New York Dolls, è arrivato in Inghilterra ha pigliato 4 imbecilli, lui era tra l’altro il marito di Vivienne Westwood, ha visto Johnny Rotten: “ma si dai fai il cantante” e ha creato la grande truffa del Rock ‘n’ Roll".
Il punk dei Sex Pistols è stata una grandissima operazione di marketing. I Clash sono la parte “colta”.
“I Clash sono il punk proletario, politicamente impegnato".
Ma il punk americano non ha mai avuto…
“…Derive politiche? I Suicide sì a loro modo: in mezzo alle righe ci senti una critica molto forte alla società americana, di tutte le sue dinamiche di disagio, una storia come quella di Frankie teardrop".
È efficace perché c’è un suono ripetitivo, ossessivo, freddo, tagliente, sporco: mi dà l’idea di un degrado dato da quel tipo di droga lì. Però per raccontare la storia di un disoccupato ci può essere anche un folk o un rock. Negli anni ‘80 c’è una spaccatura tra America ed Europa dove comincia l’ondata post-Punk con tutti quelli che conosciamo. In America rimane un po’ più nel Gothic ma il filone nuovo è l’hard rock alla Bon Jovi.
“È rimasto lì a “dormicchiare” 7-8 anni ed è ritornato alla grande con il Grunge. Però anche lì c’è tutta la questione industriale e di business culturale: noi parliamo di cultura ma il Grunge non esisterebbe se qualcuno non ci avesse puntato come possibilità di rilancio commerciale. E i Nirvana? Che lui si è suicidato perché la “macchina” lo stava stritolando?”.
I Nirvana sono il post- punk: erano coscienti di quello che era avvenuto prima?
“Perfettamente. Kurt Cobain era molto colto: aveva fatto “The man who sold the world” di Bowie che da lui non te lo aspetteresti. Anche David Bowie: in “God save the queen” Matlock ha detto chiaramente che ha “rubato” il riff di chitarra di “Suffragette city” da “Ziggie Stardust”. il giro di chitarra è lo stesso".
Il racconto che fai dell’America, con questa bandiera sbiadita, quest’ombra con la testa all’ingiù come un fantasma mi sembra la morte delle istituzioni in cui un popolo dovrebbe riconoscersi. Cosa è rimasto degli USA secondo te e come questo spettacolo può raccontarlo?
“Sono innestate tante cose, ti do alcune chiavi che per me sono state essenziali ma “la cosa” è quello che tu vedi, che hai appena detto o che domani ti viene in mente. Però ha a che fare con il credere ancora nel sogno americano anche se è totalmente sbiadito, l’aggrapparsi a delle cose ben sapendo che non hanno più senso: il chiudere le barriere, il riconoscersi nel sogno del self made man. Questa ottica dell’individualismo sfrenato: che senso ha adesso? L’america di Obama mi sembrava molto più avanti. Noi abbiamo un minimo di stato sociale, loro se non hanno un’assicurazione non possono curarsi, per andare all’università devi chiedere i soldi alla banca poi trovare subito lavoro e per i primi 4-5 anni ripagarsi gli studi. Dietro al sistema del self made man sono pochi quelli che ce la fanno, ci sono tanti che si rovinano, storie di degrado pazzesco perché non tutti riescono a realizzare il sogno, perché appunto è un sogno e non hai paracadute".
nr. 13 anno XXIV del 6 aprile 2019