NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Unità d’Italia e nuovo ruolo dell’essere veneti

Mons. Giuseppe Dal Ferro, responsabile del Rezzara, spiega la storia delle sfumature ideologiche e di fede intervenute dal “non expedit” di Pio IX fino all’ipotesi attuale di riforma federalista: senza discutere l’unità, da cattolici e da veneti, c’è un triplo ruolo da giocare con l’Italia e con l’Europa

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Unità d’Italia e nuovo ruolo dell’essere veneti

(g. ar. ) - Su richiesta dei Vescovi piemontesi, che chiedevano se era lecito per i cattolici partecipare alle elezioni politiche, la Sacra Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari rispose nel 1868 con il "non expedit", ossia non è conveniente. Questa esortazione autorevole a restarne fuori rappresenta una costante che copre gli anni tra il decennio 60 fino a lambire il decennio 90 della storia d'Italia e dei rapporti tra il nuovo paese unito e il potere vaticano, passando attraverso pontificati di primo piano come quelli di Pio IX, Leone XIII, Pio X. Questa posizione si ritrasmette attraverso la sua capacità di influenza sui credenti fino a tutto il Novecento, e arriva fino ad oggi. Benché ci siano state variabili importanti come il governo ultracinquantenario ininterrotto di un partito cattolico, la verità è che verso l'unità d'Italia ci furono riserve che tornano a rinverdire. Il federalismo ne è tutto sommato una spia: credibile nel senso che manifesta radici di sostanza, ma pur sempre solo una delle spie. Gli altri segnali storici da non ignorare, come dice in questo colloquio Giuseppe Dal Ferro, presidente del Centro Rezzara, vanno ricercati in quell'essere veneti e rivolti soprattutto al nord est e all'oriente che accolse l'invito papale con una certa conciliante acquiescenza, e che oggi, faccia a faccia con l'idea di far da soli, torna in qualche modo a riproporsi. Voglia di secessione? No, risponde mons. Dal Ferro: c'è un modo di essere veneti, ma anche veneti italiani e veneti europei. Il dato di fatto dell'unità non è discutibile. È discutibile tutto il resto, a cominciare dalla voglia di una presa di coscienza realistica di come si sono evolute le cose. La storia dovrebbe pure aver insegnato qualcosa.

 

Importante scegliere tra la retorica accademica e il realismo

Da quel pressante consiglio dei vescovi a non provarci per arrivare fino ad oggi, molto è cambiato per i cattolici italiani. In politica alla fine ci sono entrati e sono anche risultati determinanti nel secondo dopoguerra. Ma sullo sfondo, spiega mons. Dal Ferro -istituto culturale di scienze sociali Nicolò Rezzara- quella doppia anima che contraddistinse i cattolici specie nel Veneto a cavallo tra Ottocento e Novecento è tutto sommato ancora lì: c'erano i cattolici dell'ortodossia e quelli di impostazione liberale; gli integralisti, che seguivano le indicazioni dell'autorità ecclesiastica e gli altri, come Zanella e Lampertico, altrettanto rispettosi, ma aperti e disponibili ad analizzare diversamente il problema.

Fatto sta che l'unità d'Italia non fu in nessun modo una festa. Per nessuno. Il Veneto, ricorda, Dal Ferro, era da sempre rivolto verso est e verso nord con i suoi traffici. L'appeal di un cambio di interlocutori non era perciò in alcun modo rilevante per commercianti che andavano e venivano con in tasca la mappa di altri mercati, assolutamente diversi da Roma e ancor meno dal sud italiano. Il che non tolse però l'occasione perché proprio i veneti e Vicenza in particolare partecipassero con slancio alle lotte per l'allontanamento della dominazione asburgica, come si dimostrò nelle battaglie del 1848 che proprio a Vicenza ebbero una svolta memorabile, seppure ancora non risolutiva, interlocutoria.

A quel punto preferire i mercati del Danubio, sentirsi legati al "non expedit", avere alla spalle una storia secolare di scelte precise e inequivocabili, finì col non contare più. Si prese atto che l'unità rappresentava un punto di non ritorno e che bisognava prenderne atto. Anche nonostante quella grande storia della Serenissima che aveva finito con il condurre quasi insegnandola ad una compattezza veneta che produsse le prime aggregazioni finanziarie delle banche rurali, delle cooperative, alla nascita delle scuole cattoliche, a tutto quel complesso di organizzazione sociale attorno alle parrocchie che poi costituì l'ossatura principale della presenza politica dei cattolici. Tra intransigenti e liberali, tra passato e presente rivolto al futuro, alla fine si scelse.

Ora che siamo al 150° dell'unità d'Italia, quali sono i risvolti dell'analisi di un cattolico tenendo conto anche della memoria di quel passato? L'interpretazione di mons. Dal Ferro rivela una chiave realistica molto spiccata: «Dell'unità abbiamo preso atto e dobbiamo continuare in questo atteggiamento. Le contrapposizioni servono solo a fare accademia e anzi possono produrre danni. La strada da percorrere è quella della consapevolezza di far parte di una regione che fa parte dell'Italia la quale a sua volta fa parte dell'Europa. Forse oggi la visione di Zanella e Lampertico dimostra che seppero guardare lontano. Se l'intransigenza aveva un senso all'epoca ora non ne ha più».

E le celebrazioni? Il Rezzara è stato invitato a collaborare al progetto che sta nascendo nella collaborazione più allargata. Le celebrazioni avrebbero soltanto un senso accademico -spiega ancora Dal Ferro- se ci trovassimo a ricordare date e personaggi, vicende belle e brutte, senza però saper arrivare a quella elaborazione che invece deve servire a tutti noi oggi: «L'identità veneta deve andare di pari passo con l'identità di italiani e di europei, mettere in contrasto queste realtà sarebbe un errore grossolano. Ci sono diverse sfere di identità che vanno conciliate perché è la storia che le ha messe assieme».

Fuori dall'accademia, dentro il perimetro del realismo più rigoroso. La chiave della cultura è probabilmente la migliore per aprire questo scrigno che altrimenti conterrebbe soltanto retorica. È una buona indicazione per il lavoro che verrà fatto nei prossimi mesi.

 

nr. 17 anno XV dell'8 maggio 2010

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