NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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L’ingegner Danda sfila a Bergamo

Alpino 89 anni reduce di Russia e ancora intatto lo spirito degli alpini: “Quando chiamano occorre rispondere”

di Pietro Omerini Zanella
pedro-zanna@hotmail.it

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L’ingegner Danda sfila a Bergamo

Tra i quattromila alpini di Vicenza che sfileranno Domenica durante l'atto conclusivo dell'adunata di Bergamo ci sarà anche lui, l'ingegner Giobatta Danda, reduce di Russia, 89 anni e non sentirli.

Dopo un'esistenza piena, la guerra mondiale combattuta prima con le penne nere e poi a fianco dei partigiani, tre figli e chissà quante altre storie, forse ci si dovrebbe riposare. Quando gli alpini chiamano, però, occorre rispondere.

Nel suo studio, dove sta lavorando alla terza edizione del suo libro: "Visnù" (Edizioni Ergon), Danda osserva le foto, le medaglie e le onorificenze appese alle pareti, e accetta volentieri di raccontare un po' della sua storia.

Signor Danda, che valore hanno questi raduni? Perché è importante andarci?

«Quando si diventa militari, con quella che diremo naja, si apprende una vita diversa, s'impara l'ubbidienza, il rispetto, la fatica e una serie di altri valori che è difficile ritrovare in altri luoghi.

Con le marce, la fatica, in guerra, per chi certe cose le sente, nasce un sentimento di fratellanza con i tuoi uomini che è anche più forte di quello che c'è tra consanguinei. Io ho comandato da tenente 150 cinquanta uomini e solo 25 sono tornati a casa, spero sempre di rincontrarli, mi illudo di rivedere in alcune facce dei giovani i loro nipoti o i loro figli. Lo so a volte è solo un'illusione, ma a queste adunate provo una certa gioia, e ci spero sempre di rincontrare qualche vecchio amico. I miei figli mi dicono ogni volta che forse, vista l'età, dovrei stare a casa, poi ci vado sempre. Quando torno dico che "stufada" ma sono contento. Alla mia età, si rimane spesso a pensare a chi non c'è più, ma io voglio tenere anche i contatti con chi c'è ancora, oltre a mantenere vivi i ricordi».

In qualche modo, non solo per la sua attività di scrittore, lei è un testimone di buona parte dei grandi avvenimenti dello scorso secolo, com'è cambiata l'Italia?

«Per capirlo basta pensare a cos'è successo negli ultimi trent'anni, è cambiato tutto. Ricordo che avevo uno zio che viveva in America e in estate tornava a farmi visita. Lui lo diceva che la vera America l'avevamo qua, invidiavano il nostro modo di vivere. Una volta ci si salutava per strada, si conoscevano i propri vicini e c'erano dei valori che oggi non ci sono più. Aveva ragione mio zio: il benessere economico ha portato con sé molti malanni, i giovani pensano che la libertà sia poter fumare e avere tutto quello che vogliono, ed è un po' anche colpa nostra, perché l'educazione parte dalle famiglie. A volte non basta nemmeno quello, perché abbiamo davvero perso qualcosa con l'evoluzione economica. Ma se la libertà non è fare ciò che si vuole allora qual è la sua definizione? Credo che la libertà non possa consistere nel poter far tutto, ma nel fare ciò che serve sempre verso il benessere della società».

L'Italia compie 150 anni e qualcuno vorrebbe dividerla.

«Io passo spesso davanti alla statua di Garibaldi e scherzando mi dico: eccolo qui quello che ha rovinato il nostro Paese. In realtà, credo che il vero problema tra nord e sud sia che troppo spesso si vuole cambiare la testa dei meridionali, ci hanno provato in tanti ma non si può. Detto questo, credo il problema sia che non si danno esempi alle nuove generazioni. In Italia sembra sempre che facciamo le leggi per trovare un modo di infrangerle. Per come la vedo io, ci sono pochi enti che fanno davvero qualcosa, la Chiesa, certo, gli Alpini, ad esempio, ma siamo troppo pochi».

 

nr. 17 anno XV dell'8 maggio 2010

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