NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Omicidio Fioretto: caso ufficialmente riaperto

In un guanto, spedito a Roma, la speranza di ritrovare elementi sufficienti per identificare i killer. Nell'indagine c'era stato un indagato

di Tiziano Bullato
bullatot@tvavicenza.it

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Adesso ci siamo davvero: il caso del duplice omicidio di Pierangelo Fioretto e di sua moglie, Mafalda Begnozzi, è ufficialmente riaperto. Lo ha fatto il capo della squadra mobile di Vicenza, Michele Marchese, trasmettendo ai laboratori scientifici della polizia a Roma un reperto importante, ritrovato fra i corpi di reato sequestrati all'epoca dei fatti, nel febbraio del 1991. Si tratta del guanto in pelle che vedete nelle foto di questa pagine e che, per tutto questo tempo, è rimasto chiuso in uno scatolone archiviato nei sotterranei del Tribunale. Dentro quella scatola c'era un po' di tutto: gli abiti indossati dall'avvocato e da sua moglie, le scarpe, la pistola marca "Molgora" che era stata ritrovata lungo il viale dello stadio dove venne abbandonata dai killer in fuga, ma anche i guanti da chirurgo di colore azzurro che erano stati indossati dagli assassini e sui quali già all'epoca erano state rilevate delle impronte digitali parziali. Si pensava, all'inizio di questa revisione dell'indagine, che fossero proprio quei guanti il punto di partenza per ottenere maggiori informazioni, contando sui progressi fatti nel frattempo dalla scienza collegata alle esigenze forensi. E invece la prima brutta sorpresa è arrivata proprio da quel reperto. Come avevamo spiegato già in occasione di altri articoli pubblicati su www.ladomenicadivicenza.it anche la semplice riapertura dello scatolone non è stata impresa semplice. Il caso è formalmente archiviato, lo scatolone sigillato era impossibile da aprire senza il consenso del pubblico ministero che ha condotto le indagini fin dal giorno del delitto, quel maledetto 25 febbraio 1991. Solo nei primi giorni di luglio è stato possibile dare corso all'apertura dello scatolone con tutte le cautele necessarie per garantire che il contenuto non fosse in nessun modo messo in discussione e che le prove non venissero contaminate.

E alla fine quei famosi guanti da chirurgo sono stati trovati, ancora sigillati nelle loro buste di plastica. Ma erano ridotti in polvere. Il lattice, nel corso degli anni si è modificato, seccato e quindi si è polverizzato in una quantità enorme di pezzetti. E non ci sono novità scientifiche che tengano in questi casi: quei guanti sono inutilizzabili. «Eppure non tutto è perduto, ha spiegato il vicequestore Michele Marchese, dal momento che sulla scena del delitto, subito dopo l'uccisione dei coniugi Fioretto la polizia riuscì a repertare anche questo guanto di pelle che, con certezza, non apparteneva alle vittime e che potrebbe non solo conservare ancora qualche impronta digitale, ma anche delle tracce biologiche dalle quali potrebbe essere possibile estrarre un profilo di Dna».

E dunque quei guanti sono stati imbustati, catalogati e spediti a Roma: se si riuscirà a trovare qualcosa, anche il più piccolo elemento, sarà proprio da qui che le indagini ripartiranno.

Come spesso accade, però, il semplice fatto che il nostro giornale e il notiziario televisivo di TVA Notizia, siano tornati ad occuparsi del caso ha fatto in modo che molti abbiano cominciato a ricordare e a raccontare particolari di una indagine che non ha avuto paragoni nella nostra provincia. Ecco allora che dalle nebbie della memoria emergono racconti importanti. Come ad esempio quello relativo al fatto che ad un certo punto vi furono delle persone formalmente indagate per il delitto. In particolare gli investigatori - sia polizia che carabinieri - riuscirono a risalire alla figura di tale Massimiliano Romano. All'inizio degli anni '90 l'uomo era noto per essere molto attivo su vari fronti criminali soprattutto nella provincia di Verona. E a suo carico c'era anche un particolare inquietante: assomigliava in modo impressionante ad uno dei due identikit disegnati dagli esperti della polizia dopo aver ascoltato il racconto dei testimoni. Ad un certo punto la procura di Vicenza dispose a suo carico e a carico di alcuni suoi amici delle perquisizioni domiciliari. Guardacaso gli investigatori trovarono fra le molte altre cose anche una pistola marca "Molgora", la stessa della pistola recuperata a Vicenza e utilizzata per il duplice omicidio. Ora per capire la nostra storia è necessaria una digressione su questo tipo di pistole. La Molgora non era una fabbrica di armi, ma una azienda che produceva armi giocattolo, o meglio perfette riproduzioni di armi vere. Tanto perfette che, grazie all'opera di un bravo artigiano, era possibile trasformarle in vere e proprie armi da fuoco, tanto letali quanto una Beretta. I primi a capire il "trucco" furono, neanche a dirlo, i banditi e in breve tempo la diffusione delle "Molgora" modificate fu impressionante. Un fenomeno al quale misero fine alcune procure del Nord-Italia che, ad un certo punto, disposero il sequestro su tutto il territorio nazionale non solo delle pistole modificate, ma anche dei "giocattoli" che potevano trasformarsi in armi letali.

Dunque dicevamo che a casa di Massimiliano Romano venne trovata una pistola "Molgora" modificata, ma anche questo si rivelò un mezzo vicolo cieco. La procura infatti dispose immediatamente una perizia balistica su quell'arma per capire se aveva o poteva avere delle somiglianze con quella in sequestro. Il risultato fu negativo: gli esperti arrivarono a dire che per modalità e realizzazione delle modifiche apportate al giocattolo, bisognava concludere che ad operare erano stati due artigiani diversi che avevano lavorato con strumenti diversi.

A carico del sospettato, però, c'erano anche altri elementi: una testimone che in un primo tempo aveva giurato di poter riconoscere proprio in Massimiliano Romano l'uomo che aveva incontrato, quella sera, lungo via Torretti. Ma dopo che il suo nome finì all'interno di un articolo di giornale, la donna si spaventò e in parte finì per ritrattare la sostanza della sua testimonianza.

L'epilogo non è dei migliori, come è noto. Massimiliano Romano, infatti, è morto all'inizio degli anni '90. A conferma del suo carattere combattivo, Romano, reagì al tentativo di arresto da parte delle forze dell'ordine nell'ambito di una vicenda del tutto diversa. Sparò e ferì un appartenente delle forze di polizia, ma venne a suo volta colpito e morì. Fine della storia. Almeno per adesso. Ah, non va dimenticato che Romano non fu l'unico a subire perquisizioni subito dopo il delitto Fioretto. Fra i sospettati finirono anche alcuni suoi amici, persone che erano note per partecipare alle sue attività e che non hanno subito la stessa sorte tragica. Anche da lì, se il guanto offrirà un minimo elemento, si potrebbe ripartire.

 

nr. 29 anno XV del 31 luglio 2010

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