NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Simbolo e sacro mistero nell’arte di Tito e di Laura Stocco

Alla XIV edizione della Biennale d’Arte Sacra Contemporanea, a Isola del Gran Sasso, le figurazioni emblematiche dal titolo “Verso la luce” della pittrice vicentina che rivisita esperienze del suo percorso di ricerca nel settore del sacro

di Resy Amaglio

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Simbolo e sacro mistero nell’arte di Tito e di Lau

È in pieno svolgimento presso il Santuario di san Gabriele a Isola del Gran Sasso la XIV Biennale d'Arte Sacra Contemporanea, promossa dalla Fondazione Stauròs. All'edizione 2010 partecipano circa settanta artisti, affidati all'attenzione dei direttori storici delle biennali precedenti, da Maurizio Calvesi a Giorgio Cortenova a Enrico Crispolti, cui si sono aggiunti alcuni altri legati in vario modo alle attività culturali della fondazione stessa, come Mary Angela Schroth.

Ad un anno di distanza dal sisma che ha sconvolto la regione, la mostra acquista particolare rilievo quale evento culturale idoneo non soltanto a mettere in luce l'impegno di numerosi e differenti artisti, ma anche per i risvolti simbolici che lo caratterizzano, in un ambito, quello dell'espressione d'arte a sfondo religioso, dove si innestano problematiche delicate. Di notevole richiamo simbolico è pure il tema proposto, Le Beatitudini Evangeliche, tratto dal Discorso della Montagna dal Vangelo di Matteo, di forte carica emotiva e perciò argomentabile nelle più svariate maniere. Al di là dell'offerta di speranza che sotto il profilo fideistico si alimenta dei valori propri della trascendenza, il messaggio insito nel brano evangelico si presta a riflessioni non indifferenti sul piano artistico, pur con l'alea implicita di arcaismi retorici di cui certamente non necessita la creazione d'arte del nostro difficile tempo.

L'orizzonte partecipativo aperto dall'arte contemporanea nei domini del sacro non appare di facile né univoca interpretazione. La cultura tradizionale vorrebbe che sempre l'opera fosse immediatamente ricollegabile a quanto si indica come storia sacra, che nella più alta accezione si fonda innanzi tutto sui testi biblici.

Al centro di un interesse non meramente transitorio, coinvolgente l'intera produzione artistica occidentale di matrice cristiana, sta invece l'auspicio che si giunga a maturare un'arte capace di generare spiritualità, indipendentemente dalla narrazione figurata di personaggi o accadimenti il cui valore didascalico, in origine di primaria importanza, si è perduto nel tempo.

La storia espositiva di Stauròs vanta in questo senso una tradizione di livello interessante, avendo impalcato mostre di ampio respiro, senza il timore di addentrarsi in un terreno spesso impervio, altalenante fra canoni tradizionali e sperimentazione, in ragione di un'espressività vincolata al dettato religioso e insieme sensibile a quesiti formali e contenutistici in continua evoluzione.

Vi hanno figurato creazioni di artisti prestigiosi dall'inconfondibile cifra, con recuperi eccellenti, come il Carrà ricordato con due dipinti alla IV Biennale. Esemplare sul versante astratto è stata anche la presenza di Guido Strazza, maestro di un segno-segnale-simbolo in cui trovano misura e sintesi valenze d'ordine complesso, estetico ed etico insieme.

La purezza del segno appartiene strutturalmente anche a Tito, il quale partecipa alle esposizioni di Stauròs sin dagli inizi. Tito Amodei, della Comunità passionista della Scala Santa, è autore versatile, che ha speso decenni d'impegno nel settore dell'arte sacra soprattutto quale scultore, non disdegnando tuttavia la pittura e l'incisione.

L'artista è presente quest'anno con un'opera pittorica di specifica connotazione simbolica, Per gli operatori di pace, dove rappresenta la prediletta struttura ovoidale, qui raddoppiata specularmente in una sorta di controluce.

Nella grande tempera su legno truciolato si riflette un aspetto peculiare delle sue scelte operative, quello di una materia povera, se non rudimentale, denudata di artifici ed estetismi marginali, nella quale compendiare un'ideale assolutezza: il cromatismo stesso è impoverito, a dire il simbolo con icastica austerità, tra ombra e luce. Tropo tra i più antichi, l'uovo è segno concluso, che ritorna in se stesso per racchiudere il principio fondativo della vita. La cellula primordiale è però simbolo più d'ogni altro soggetto ad interpretazioni scontate, di ovvia ascendenza retorica: Tito ne risolve gli interrogativi attraverso il linguaggio, scandito da una sintassi severa fino al minimalismo; nel contempo, apre anche ad un concetto di vita, non esclusivamente cristiano, coerente alle esigenze di una quotidianità umana molto attuale, per la quale il passaggio dall'oscurità alla luce sia non solo disvelamento trascendentale, ma si realizzi in un divenire di pace.

Il portato simbolico di quest'opera risiede pertanto in un legame di carattere concettuale. Non così invece per la creazione della vicentina Laura Stocco, pittrice che ha più volte condiviso con Tito esperienze espositive. Membro da alcuni anni della Pontificia Accademia dei Virtuosi al Pantheon, la Stocco esordisce alla Biennale di Isola del Gran Sasso con un dipinto, Verso la luce, emblematico del suo percorso di ricerca nel settore del sacro, rivisitato nei modi di un'astrazione materica dall'accattivante qualità estetica.

Il simbolo non assume in lei contorni definiti e determinati, né intrattiene legami di senso con un'illuminante idea di riferimento. Spetta piuttosto alla mutevolezza della materia pittorica esprimere le vibrazioni di un discorso simbolico tradotto in emozione visiva, sicché è la pittura stessa che s'impregna dell'aura propria del simbolo, sostanziato nella pluralità dei materiali, ora vividamente pigmentati ora rarefatti, nella flessione delle trasparenze, nei labirintici interventi dei segni.

Frutto di una riflessione profonda, il quadro si esplica su vari piani visivi, articolandosi dal basso all'alto per fasce orizzontali, secondo un lessico rigorosamente materico e però sensibilizzato dalla luce crescente, che emerge dal fondo per divenire elemento dominante nella parte superiore, quando la materia si dissolve.

In principio è dunque la terra, agra e misteriosa, nella quale uno spaccato rosso fiamma stranamente incastonato di blu appare quasi una sfida, al modo sorprendente di un'eruzione vulcanica in mare aperto. Il richiamo memoriale di tipo naturalistico non è casuale, né lo sono i lacerti grafici che la Stocco introduce con gesto impositivo sull'epidermide rovente delle cromie, in fuga verso l'incorporea fascia di nebbia dove la violenza si placa. Sottili tracce di minuscole scaglie incolori prendono allora a salire, svanendo nell'atmosfera luminosa.

I differenti esiti cui giungono i due artisti inducono a ritenere che non esista una ragione comune nel loro iter espressivo, né un filo conduttore contiguo. In realtà, a presiedere l'operato di entrambi è l'eguale libertà che anima il loro fare rispetto al principio di alterità in cui il mistero divino affonda le radici. Li apparenta la consuetudine all'introspezione, al ripensamento metodico delle proprie intenzioni, declinate con un rigore sordo a mercantilismi, nella convinzione che, se l'arte d'impronta religiosa possiede ai nostri giorni un significato compiuto, questo è da ricercarsi nella forza di rinnovamento che appartiene intrinsecamente all'arte stessa e ai suoi messaggi, senza indulgere tuttavia alla gratificante pretesa sacralità della creazione artistica in quanto tale.

 

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nr. 31 anno XV del 4 settembre 2010

 

 

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