NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Accademia e Spettacoli Classici: un matrimonio che s’ha da rifare!

Non ha dubbi Remo Schiavo, per anni segretario dell’Accademia Olimpica: “Sarebbe ora e tempo che il comitato tornasse ad occuparsi della stagione dei classici al teatro”

di Giuseppe Brugnoli

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Accademia e Spettacoli Classici: un matrimonio che

La proposta, da noi affacciata una settimana fa, di ridare all'Accademia Olimpica la gestione degli spettacoli classici al teatro Olimpico, o almeno di reintrodurre l'Accademia, nel compitato che sceglie e prepara la stagione autunnale all'Olimpico, ha suscitato un discreto interesse, e qualche adesione autorevole. È il caso del prof. Remo Schiavo, che del comitato per gli spettacoli classici all'Olimpico gestito dall'Accademia fu segretario per molti anni e anzi, racconta lui, «è proprio attraverso il mio lungo impegno come segretario del comitato che sono diventato socio accademico».

Allora, prof. Schiavo, cosa ne dice, di ritornare all'Accademia la competenza sul ciclo di spettacoli classici all'Olimpico?

«Direi che sarebbe ora e tempo, dopo le ultime annate che hanno presentato qualche buon spettacolo, ma anche più di qualche flop. Ma ad una condizione, che chi dovesse interessarsi del teatro palladiano e delle opere da realizzarvi dovrebbe avere non dico la competenza di Renato Cevese, di cui sto rileggendo il suo libro "Per Vicenza", ma almeno una conoscenza non superficiale ed effimera, e che quindi dovrebbe, prima di ardirsi di pensare alle opere da ospitare all'Olimpico, seguire un corso regolare al Centro studi di architettura Andrea Palladio e imparare a memoria il saggio di Licisco Magagnato sull'Olimpico».

È proprio così difficile fare teatro all'Olimpico?

«No, se si seguono le regole dettate dalla prima rappresentazione, quella del 1500. Dobbiamo ricordare che per quello spettacolo inaugurale fu costruita appositamente la grande scenografia scamozziana con le strade di Tebe, e che da allora quello è stato l'ambiente in cui collocare ogni successivo spettacolo. O si tiene conto di questo scenario e allora bisogna scegliere il testo adatto, o non se ne tiene conto, come è stato fatto molte volte, e allora non serve utilizzare l'Olimpico, che è un teatro piccolo e malagevole. Quindi bisogna tornare alla grande tradizione sempre seguita degli spettacoli classici all'Olimpico, che si basano su un grande testo dei tre classici greci, e su una traduzione perfetta in italiano moderno. Una volta avevamo i Manara Valgimigli o anche i Marchesi, che oggi sono morti, ma non mancano nella nostra Accademia valorosi grecisti, ai quali affidare una dignitosa traduzione. Mi dicono per l'Oreste, che quest'anno compare per la prima volta all'Olimpico, c'è una nuova traduzione italiana di Davide Sansonetti, appositamente commissionata dal Teatro stabile del Veneto per questo 63esimo ciclo di spettacoli classici, ma se non viene utilizzata diventa solo un lavoro filologico o archeologico, buono per gli studiosi e non per il pubblico».

Che cosa dice del fatto che Oreste sia presentato in greco moderno?

«Non mi pronuncio, anche perché non so nulla del Teatro Nazionale Greco. Mi pare però che mettere dei sottotitoli in italiano sia una magra faccenda. Disturbano, distolgono l'attenzione dello spettatore, e rovinano quel "climax" che nella rappresentazione di una tragedia greca è fondamentale per la buona resa dello spettacolo. Avrei qualcosa da dire piuttosto su Erodiade, il secondo spettacolo in calendario. È un capolavoro, di quel Giovanni Testori che è un autore molto discusso, ma non è certo un'opera da Olimpico. Non conosco la protagonista Maria Paiato, ma ricordo una grande interpretazione di Adriana Innocenti, un po' sopra le righe, di grande effetto, ma molto difficile da tenere a quel livello».

Insomma, non pare molto entusiasta...

«Non so, gli spettacoli comunque bisogna vederli. Ma io, come si sa, sono sempre molto scettico, e continuo a credere che gli spettacoli classici si debbano presentare in modo classico. In fondo, per il ciclo all'Olimpico, dovrebbe valere il motto che fu del campanile di San Marco, quando fu ricostruito: "com'era, dov'era", e siccome stavo leggendo il libro di Cevese, applico a me stesso un motto antico che risale alle Sibille, e che si attaglia bene al grande studioso di Palladio e amante di Vicenza: "Verace sempre e non creduto mai"».

L'avvocato Lorenzo Pellizzari, a lungo presidente dell'Accademia Olimpica, lo troviamo mentre sta chiudendo casa in Sardegna per far ritorno a Vicenza, ed è d'accordo con quanti vorrebbero che l'Accademia tornasse a interessarsi attivamente del ciclo di spettacoli classici.

Ma, avvocato, il prof. Mario Bagnara, illustre e apprezzato collaboratore de "La Domenica di Vicenza" fin dalla fondazione del giornale, dice che, quand'era assessore comunale alla cultura, e quindi presiedeva i lavori della commissione per gli spettacoli all'Olimpico, poi affidati al dottor De Fusco, direttore di Veneto Teatro, aveva avuto un abboccamento con lei, per trovare una collaborazione tra Accademia e Comune in vista della stagione di settembre all'Olimpico.

«Mi pare che a quel tempo l'ideazione e la preparazione del ciclo di spettacoli classici all'Olimpico fosse già stato affidato a Veneto Teatro, nella persona del suo direttore artistico dottor De Fusco, e quindi la nostra collaborazione avrebbe potuto essere soltanto di seconda mano, per così dire, o prevalentemente sul piano economico. Con il dottor De Fusco, quando fu nominato, abbiamo avuto più di qualche colloquio, ma anche qui non abbiamo avuto alcun seguito, anche se ritenevamo, e continuo a ritenere, che l'Accademia avesse tra i suoi soci insigni personalità non solo negli studi, ma anche nelle realizzazioni per il teatro».

E adesso?

«Credo che l'Olimpico abbia una tradizione teatrale unica, che non hanno altri teatri, pur di grande nome, italiani della stessa epoca, e che Vicenza debba, e anche sia in grado, di valorizzare questa grande tradizione anche ai fini di un turismo culturale che ha fatto rifiorire contrade d'Italia un po' in ombra e che a Vicenza fa fatica ad imporsi. Il teatro Olimpico con i suoi spettacoli sarebbe un volano magnifico, basterebbe fare spettacoli memorabili e farli conoscere non solo nelle città vicine, ma anche all'estero, nei luoghi dai quali provengono le maggiori correnti del turismo culturale».

E come si fa?

«Istituire una Fondazione per l'Olimpico e i suoi spettacoli, staccandosi da Veneto teatro che ha impegni troppo diversi e variegati. Sono rimasto meravigliato, quando è stata istituita la Fondazione per il nuovo teatro di Vicenza, che non fosse almeno divisa in due settori, una per il teatro nuovo, uno per il teatro antico. Oggi è proprio l'Accademia Olimpica che dovrebbe farsi promotrice di una Fondazione in cui, con il Comune, entrino i maggiori enti pubblici e privati di Vicenza per una programmazione all'Olimpico degna del nome e della grande tradizione del teatro».

 

nr. 31 anno XV del 4 settembre 2010

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