NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Il collezionista? Rischia di finire ammassato

Dall’Inghilterra la potente metafora dei fratelli Collyer che a furia di accumulare opere d’arte in uno spazio sempre più impraticabile sono rimasti sotto la... valanga - C’è modo e modo di collezionare e creare musei, tra funzione espositiva e funzione archivistica, ma sono pochi quelli che praticano questo concetto

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Il collezionista? Rischia di finire ammassato

Quasi a scoprire il mistero di una formula chimica per cui un elemento percorre gli stati successivi del gassoso, del fluido fino al solido -e viceversa- l'interpretazione delle motivazioni vere che portano a collezionare qualsiasi filone di oggetti, artistici o semplicemente bagnati di rarità, è tanto complicata quanto chi si impegna su questo terreno. A lungo, sulla scorta della straordinaria esperienza rinascimentale italiana, si è sovrapposto perfino con eccessiva facilità la figura del mecenate a quella del collezionista e non si può dire che la similitudine sia così stramba. Tra favorire una classe intera di artisti che producono in abbondanza di mezzi opere straordinarie e trasformare questo ruolo in quello di chi tutte quelle opere se le tiene ben strette o comunque fa carte false perché rimangano unite e non si disperdano, davvero la differenza ci risulta tenuissima.

Il collezionista, come il mecenate, è infatti un personaggio fondamentalmente egocentrico e gelosissimo delle sue cose alle quali non si sogna minimamente di attribuire per primo il valore economico che pure c'è, ma privilegia il valore unico di avere tutto e sempre a disposizione per poterne godere. L'equivoco, a lungo sostenuto, è stato quello di appioppare sia al mecenate che al collezionista una etichetta specialistica che si guardano bene dall'avere e dal voler riservarsi come ad esempio l'esercitare mestieri di élite come il critico o lo studioso. Il grande risultato delle collezioni private, quando hanno davvero un valore significativo, si ha quando non restano chiuse e riservate al proprietario, ma vengono messe a disposizione degli altri, del pubblico. Non si tratta di una situazione così frequente, ma nemmeno introvabile. La funzione del Casabianca di Malo, ad esempio, è da sempre giocata proprio sull'apertura massima verso l'esterno. Ad ulteriore prova, come dice Giobatta Meneguzzo in questo spazio, ecco l'evoluzione, il cambio di marcia: il museo si sposta da contenitore che pure propone e incentiva l'interesse pubblico, ad una situazione che tende a completare maggiormente i suoi stessi significati: non solo quadri, non solo collezione di grafica internazionale contemporanea, ma anche archivio, studio di se stesso, capacità vera di mettere in fila il lungo e ricchissimo elenco di tutto quello che il museo custodisce: libri, riviste specializzate, collezioni intere di speciali di quotidiani, punti chiave della storia del museo, eccetera. Ecco perché Meneguzzo non corre lo stesso rischio dei fratelli Collyer, i due inglesi morti schiacciati dalla grande massa di opere che non sapevano più dove sistemare: lui, il patron di Malo, non morirà... ammassato.

 

La forza vera è di saper proporre sempre qualcosa

 

Il richiamo è assolutamente potente e ne ha dato notizia nel suo ultimo speciale domenicale dedicato all'arte Il Sole 24 Ore: nella campagna inglese si è scoperta con raccapriccio l'orribile fine di due fratelli, o signori Collyer, i quali sono stati trovati sotterrati dal loro stesso patrimonio artistico che collezionavano da decenni e dal quale evidentemente non volevano separarsi a nessun costo pur non disponendo più dello spazio necessario ad archiviare, sistemare, esporre, quel che cioè si fa di qualsiasi collezione privata, anche se non destinata alla fruizione pubblica.

Quasi una metafora quel nome dalla radice che rimanda al collezionare: fatto sta che con un titolo piuttosto spiritoso ("i collezionisti morti ammassati") è stato liquidato il tragico evolversi finale di una esistenza dedicata interamente a mettere assieme quel tal patrimonio. È il rischio di un normale collezionista? È così che si compone e si risolve il destino di chi decide di trascorrere il suo tempo alla ricerca di pezzi rari o pregiati di uno stesso filone?

Alla Casabianca di Malo c'è uno che di queste cose se ne intende parecchio e che sul tema del morire ammassati ha qualcosa da dire. Certo è che ognuno, sottolinea Giobatta Meneguzzo, ha un suo modo di collezionare e di utilizzare poi quanto ha collezionato. Un museo privato d'altra parte rappresenta l'essenza stessa di questo porsi in una posizione costantemente interlocutoria tra arte e autori da una parte e valenza economica del patrimonio collezionato, anche se proprio il museo d'arte grafica contemporanea di Malo rappresenta un potente esempio in totale controtendenza.

La realizzazione in senso monetario ed economico di un pezzo della collezione, dice Meneguzzo, può essere una faccenda esclusivamente di necessità perché vendere... costa, costa moltissimo, come strapparsi di dosso qualcosa a cui sei affezionato irrimediabilmente e per sempre. La controtendenza è d'altra parte una sua religione praticata scrupolosamente: ora che il museo ha percorso mezzo secolo di attività Meneguzzo lo rigenera nei principi, non si rivolge più alla scoperta di nuovi artisti, ma si preoccupa soprattutto di mettere ordine, di tirare con accuratezza i fili che costruiscono un quadro definitivo, chiaro, leggibile per tutti, di quel che c'è nelle sale e negli archivi, per quanto riguarda le opere, ma anche di tutta quella massa di documentazione che lungo vari filoni è stata costruita negli anni. Si tratta di documenti, libri, riviste specialistiche, contenuti dei vari fondi ricevuti in custodia.

In poche parole, tutto ciò che una volta bene ordinato e reso accessibile anche agli studiosi, forma il cosiddetto archivio: non più solo museo, ma anche elemento documentale conservato e archiviato ordinatamente. Questa è la preoccupazione di Meneguzzo, che d'altra parte il suo museo lo ha sempre tenuto aperto e a disposizione di chiunque volesse trovarci qualcosa di interesse proprio; è la stessa preoccupazione che guida il patron anche sul terreno della ricerca della soluzione definitiva per quanto riguarda l'eredità; compiuti gli ottant'anni due anni fa, ha aperto con le amministrazioni, dalla Regione al Comune di Malo, un dialogo che ha lo scopo di passare tutto il patrimonio a vario titolo e in varia misura sotto l'ala di una fondazione che proprio le amministrazioni dovrebbero creare: Regione, Provincia di Vicenza, Comune di Malo e lo stesso Meneguzzo. Il dialogo procede e ora c'è qualche spiraglio sostanziale del quale parleremo nella prossima puntata.

Il richiamo evocato dal dramma dei fratelli inglesi, sepolti dalle loro stesse collezioni che non stavano più in equilibrio, nel caso di Malo e di Meneguzzo non ha alcuna presa. Qui si parla d'altro.

 

nr. 32 anno XV dell'11 settembre 2010

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