NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Olimpico sempre più teatro per pochi intimi?

Quella che era una vocazione rischia di diventare una deriva. È la conseguenza di un programma che propone piéces estremamente raffinate

di Giuseppe Brugnoli

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Lettera Brugnoli

«A chi aveva espresso dubbi, se non esplicite critiche, sull'edizione critica di un "Oreste" euripideo in greco moderno... credo che i risultati delle tre repliche abbiano fornito una risposta molto convincente»: così comincia l'articolo- critica del prof. Mario Bagnara, illustre collaboratore di questa testata, sulla prima rappresentazione della commedia greca all'Olimpico, che nell'originale porta anche il titolo, dello stesso prof. Bagnara: «Il teatro nazionale greco entusiasma con il suo Oreste in greco moderno». Poiché l'unico che ha parlato della tragedia euripidea prima della sua presentazione all'Olimpico esprimendo qualche perplessità, e non critiche, è stato il sottoscritto, vorrei esercitare il diritto di replica, precisando non avevo mai inteso offendere la maestà dell'Olimpico o anche soltanto affacciare "dubbi se non esplicite critiche", ma soltanto sollevare il problema, che è stato anche affrontato dal coordinatore del "Laboratorio Olimpico", organizzato dall'Accademia Olimpica prof. Cuppone, in una successiva intervista, sull'opportunità di presentare ad un pubblico italiano una tragedia greca, scritta in greco classico, in una traduzione in greco moderno, se pure con «una bella versione italiana curata da Mattia De Poli in scorrimento sui due grandi schermi disposti lateralmente al palcoscenico», come riferisce sempre il prof. Bagnara.

Il quale mostra di credere che chi ha espresso perplessità su questa presentazione di una tragedia di migliaia di anni fa tradotta in greco moderno, quando la stessa fatica si sarebbe avuta con una traduzione in italiano moderno, fosse determinata dalla preoccupazione che non tutti i posti a sedere del teatro sarebbero stati occupati. Invece, proclama trionfalmente il prof. Bagnara, «anzitutto il pubblico è accorso in massa, esaurendo tutti i posti disponibili: evidentemente non è stato dissuaso dalle difficoltà di comprensione del testo recitato». Con questa affermazione, verrebbe da pensare che quanti hanno affollato l'Olimpico nelle tre serate di "Oreste" fossero non solo provetti conoscitori, ma anche appassionati cultori del greco moderno. Il prof. Bagnara dimostra di esserne convinto, perché subito dopo afferma che i 25 componenti della compagnia greca «hanno interpretato in modo esemplare per la dizioni nitida, l'intesa armonica e il ritmo incalzante (un po' eccessivo, a mio giudizio, il rallentamento finale)» dando prova dunque di aver apprezzato non soltanto la recitazione, ma anche le nuances espressive di una lingua non particolarmente diffusa nel mondo come il greco attuale.

Ma chi scrive queste righe rimane un po' sconcertato dal fatto di non aver saputo esprimersi correttamente in italiano moderno, non in greco antico, in modo tale da farsi interpretare da tutti i lettori di questo giornale. Al sottoscritto sembra di aver scritto, ripetendo il concetto più volte, che in questa maniera il ciclo di spettacoli classici all'Olimpico, presentando una serie di pieces teatrali di estrema raffinatezza come le tre in programma in questa stagione autunnale, rischiava di accentuare la sua vocazione, che sta diventando una deriva, di teatro per pochi intimi, riservato non ad un pubblico di amanti ed intenditori del teatro classico, ma ad un'accolta di signori che si frequentano anche fuori del teatro e che ogni tanto si ritrovano sulla gradinata dell'Olimpico soprattutto per specchiarsi nel frontista di fila. Un po' come doveva succedere quando all'Olimpico venne il divino Goethe.

In sostanza, ed è cosa mirabile, gli spettacoli all'Olimpico sono rimasti quelli che solennizzarono l'inaugurazione del teatro palladiano, qualche anno o secolo fa: una civile esibizione di fronte ad un pubblico di nobili proprietari, che pure si esibivano in questa specie di "sancta sanctorum" in cui celebrare privatamente le glorie della propria casata e confrontarsi con i sodali che partecipavano alla festa privata nell'Hortus conclusus del teatro. Oggi invero i nobili sono pochissimi, e anzi sono assai poco rappresentati nell'Accademia Olimpica che fece il teatro, ma non importa: se vanno all'Olimpico per presenziare, non assistere, a una qualche rappresentazione, vengono adeguatamente omaggiati dal pubblico altoborghese di "sine nobilitate" che ama frequentare la disagevole gradinata. Come nella serata inaugurale di qualche secolo fa, essi fanno parte integrante dello spettacolo, anzi, costituiscono la parte migliore della rappresentazione.

E quindi importa assai poco, o non importa affatto, se il dramma rappresentato è tragedia o commedia, se è in italiano o in greco. L'importante è, come si dice, che ci sia "un bel teatro", con tutta la sfilata dei nomi che contano e di quelli che vogliono contare, e così è altrettanto importante che il teatro sia piccolo, e magari anche l'orchestra venga chiusa agli spettatori, come è successo per "Oreste", in modo che nessun "foresto" disturbi una celebrazione intima, un rito annualmente ripetuto ad uso del notabilato. Poi, se lo spettacolo vale di per sé, e non solo in funzione della sfilata mondana, ci sono le repliche, per un pubblico dei cosiddetti "intellettuali", che vogliono non esserci per farsi guardare, ma guardare e capire.

Ma anche qui, è meglio non propagare la voce che ogni tanto all'Olimpico di Vicenza si rappresentano dignitosamente opere antiche, e che l'occasione sarebbe la migliore per un pubblico internazionale di buoni studi classici e buon gusto per vedere la meraviglia di una tragedia greca messa in scena in un teatro costruito apposta per rappresentare le tragedie greche dopo duemila anni da quando furono composte. Non si sa mai, potrebbe diventare davvero un richiamo mondiale, e Vicenza nobile e altera non ha certo bisogno che arrivino visitatori da chissà dove, per vedere il suo Olimpico in funzione.


nr. 36 anno XV del 9 ottobre 2010

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