Il federalismo e la devolution sono la stessa cosa? Presidente e governatore esprimono lo stesso concetto? Lodo e arbitrato possono coincidere se chi esprime il giudizio è lo stesso che al giudizio si dovrebbe sottoporre? E poi, Cittadinanza è utile a definire i contorni di uno status allargato e largamente praticabile dentro cui è implicito che si difendano i diritti civili di un individuo, oppure è una semplice etichetta che serve esclusivamente a definire una riserva diritti esclusivi che in quanto tali escludono gli altri individui-cittadini?
La riforma che la Gelmini annuncia in materia di insegnamento nelle scuole italiane sostituendo la ormai non più praticata Educazione Civica con l'apparentemente molto più precisa e interessante Costituzione e Cittadinanza è un provvedimento al quale si deve guardare quindi con fiducia o può nascondere qualcosa di non molto chiaro per cui alla fine ci si accorgerà che il linguaggio utilizzato è quello tipico del politichese, utilissimo per dire tutto e non dire niente, quindi per nascondere dentro il guscio di una definizione condivisibile quel contenuto che si rivelerà non solo poco chiaro, ma addirittura ambiguo?
Da qui bisogna partire, dice il prof. Lucio Pegoraro (diritto pubblico comparato a Bologna), per distinguere appunto l'involucro dal contenuto, l'enunciazione dal nocciolo della questione, da quel che l'enunciazione sviluppa e conclude come regola da osservare.
Siamo normalmente preda di questi tempi, spiega il professore, di un linguaggio dalle caratteristiche ondivaghe, dentro cui una parola ha la capacità di assumere più significati. E naturalmente i politici utilizzano al meglio questa possibilità di dire tutto e il suo contrario seguendo semplicemente il loro obiettivo principale che è quello del potere.
Prendiamo la definizione della nuova materia di insegnamento: Costituzione e Cittadinanza. Se la cittadinanza, dice Pegoraro, è concepita per quello che la definizione descrive, cioè l'operatività di uno status che si allarga ai diritti delle nuove cittadinanze, ai valori comuni di convivenza, alla presa d'atto della pluralità delle cittadinanze, allora va da sé che non esistono obiezioni possibili.
Ma se invece questa cittadinanza enunciata fosse semplicemente uno status considerato in senso tecnico a difesa di chi ha vantaggi e per farli valere senza appello nei confronti di altri, allora è chiaro che questo essere cittadini non solo contraddice i principi del vivere comune e civile, ma è soltanto in grado di determinare uno scalino di discriminanti in più a favore di uno status a danno dell'altro: «Che si parli di un nuovo concetto di cittadinanza mi piace come idea, nemmeno a dirlo; il problema è capire che cosa si intende esattamente, che cosa la parola cittadinanza vuole evocare e a cosa corrisponderà nella realtà. Se l'insegnamento sarà quello di parlare delle regole del vivere assieme facendo base sulle istituzioni tutto bene, perché adesso sono coinvolti nel concetto di cittadinanza problemi come ad esempio una ventilata secessione o l'immigrazione; se invece si intende altro, cioè la riserva di diritti per una parte dei cittadini a discapito degli altri, cittadini possibili ma mai approdati pienamente a questo livello, allora si compie un altro atto di mistificazione linguistica, direi perfino di cosmesi linguistica, che indubbiamente serve ed è funzionale ad un progetto che si propone come finalità il potere».
La sintesi è assolutamente persuasiva. Se la nuova materia ha per obiettivo un arricchimento culturale vero anche e soprattutto in senso civile il valore che può esprimere è interessante, se al contrario dietro questa enunciazione si esprime da una parte il senso tecnico della conoscenza della Costituzione e dall'altra il senso tecnico dello status di cittadino che gode di diritti intoccabili a scapito di tutti gli altri che aspirano ad essere nuovi cittadini, allora il senso ci risulta altrettanto scoperto ed è quanto meno assai scarsamente condivisibile. In questa ultima ipotesi, va da sé, ci troveremmo di fronte all'ennesimo caso in cui lo Stato senza dirlo esplicitamente spiega al cittadino che per regolare le proprie cose è meglio che ricorra alle proprie risorse. Un "arrangiatevi" poco dignitoso eppure molto praticato: a partire dalle ronde, è il leit motiv della nostra vita quotidiana.
nr. 37 anno XV del 16 ottobre 2010