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Nei ritagli di giornale, recuperati e messi insieme in questa raccolta, c'è tutto Remo Schiavo, con la sua gioia di raccontare storie vecchie e nuove, di svolazzare liberamente di fiore in fiore e anche di bruttura in bruttura, di piegarsi a piccoli racconti di squisita tenerezza e di profonda sensibilità e di ergersi a pronunciare fiere rampogne e rancorosi rimbrotti. Forse soltanto oggi, rileggendo uno o l'altro di questi pezzi in veste di novelle di ogni giorno, ci accorgiamo che Remo Schiavo non è stato e non è soltanto un testimone un po' distaccato della vita culturale di Vicenza e della sua provincia, ma ne è un protagonista al pari e forse più di tanti altri che a Vicenza e dintorni sono più di lui ricordati e celebrati. La sua Montecchio minore, perlustrata e investigata con intelletto d'amore nei fogli sparsi di una pubblicazione locale, fogli qui amorosamente raccolti, diventa un paradigma esemplare di una provincia che ritrova la dignità del suo essere tale, e che è lontana mille miglia da tante pubblicazioni esornative, tra il retorico e il falso-antico, che da tempo infestano ormai tutto il territorio e lo rendono pressoché illeggibile sotto questa colata di melassa che ne impiastriccia e ne confonde i contorni. Medaglioni di montecchiani più o meno illustri, dal medico molto noto alla massaia centenaria, hanno il nitore di un ritratto classico, alcune descrizioni di vicoli ignoti e luoghi remoti e nascosti di un paese aggrappato al limite estremo della collina richiamano prepotentemente alla memoria alcuni passi più pregnanti e significativi de "La stella boara" di Silvio Negro. Sono le modulazioni di un vecchio, sano modo di narrare, che qui ritornano, intatte perché nascono dallo stesso humus fatto di studi classici innestati su un'antica sapienza contadina. Schiavo ha un modo accattivante, quasi soave, di raccontare, e sembra che se ne vada girovagando intorno alle cose viste e udite quasi come un perdigiorno che ama ascoltarsi, e quando ha convinto anche il lettore ecco improvvisa e acuta la stilettata che va sempre a segno, perché accuratamente preparata da questo suo modo apparentemente svagato di affrontare le cose del mondo. Tradizionalista, anzi per più di qualche aspetto un vero e proprio reazionario, come quando si permette in uno di questi pezzulli che arieggiano all'elzeviro di infilzare direttamente e senza alcuna remissioni il mondo dei gay, Remo Schiavo si scopre poi persona di grande arditezza non solo semantica, aperto al nuovo anche se la sua misura estetica e morale è sempre calibrata sul vecchio, fedele ad un suo personaggio insieme disincantato e quasi cinico, e invece profondamente ancorato a valori che sostanziano non una tradizione, ma una storia che affonda le radici molto lontano. Personaggio emblematico di una vicentinità che ebbe il suo campione in Fogazzaro e vide dopo di lui numerosi diversi interpreti, da Piovene a Barolini, dal primo Parise al migliore Scapin, Remo Schiavo appare oggi come l'ultimo rappresentante di quel cattolicesimo tardivamente preconciliare intriso di fermenti sensibili ma proprio per questo fedele fino all'integralismo, e nello stesso tempo aperto alle seduzioni di un mondo più largo spesso più vagheggiato che vissuto. Ma la sua apertura mentale, unita ad un sicuro aggancio ai valori della classicità perenne, è dimostrata anche dalle cronache di spettacolo in cui affronta temi di grande momento culturale anche quando racconta di un'esibizione minore ai castelli di Montecchio. C'è nella sua prosa una perspicuità, una serenità di giudizio, che lo apparentano alle critiche cinematografiche che apparivano tanti anni fa sul maggiore quotidiano italiano e che erano dovute ad un altro grande vicentino, Filippo Sacchi, oggi quasi sconosciuto nella sua città. Veramente il lungo, solitario e spesso misconosciuto, lavoro di Remo Schiavo meriterebbe, meriterà ben altro esame che questo frettoloso scritto.
Ma ci piace anche ricordare che questo libro "Per Montecchio Maggiore" è illeggiadrito anche da una serie di belle fotografie che mostrano gli interni di casa Schiavo, svelando dietro una cancellata in ferro battuto particolari di una dimora preziosa e insieme riservata, che per la prima volta viene così mostrata. E che oltre alla introduzione amicale di Nevio Zanni il libro riporta una davvero segnalabile testimonianza della cugina Maria Ferrari Aggradi Schiavo, che rievoca con contenuta commozione il suo vivere di fanciulla al Tormeno, in una casa che tanto assomiglia a quella di Remo a Montecchio. Ma non sarebbe completa questa presentazione dell'ultimo libro di Remo Schiavo se non fosse citata la foto a doppia pagina, all'inizio del libro, del gatto Isaia. Verrebbe da annotare che forse è l'unica creatura alla quale l'autore del libro si è veramente affezionato, se un po' dopo non comparisse un'altra foto, più piccola, dove Remo è ritratto con in braccio un altro gatto. Ahi noi, professor Schiavo, così volubile anche negli affetti più cari!
nr. 38 anno XV del 23 ottobre 2010