NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Ovadia ci spiega il suo mercante di Venezia

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Ovadia ci spiega il suo mercante di Venezia

Questa sua opera si discosta moltissimo da quella originale, sicuramente non è di immediata comprensione, dato che è ricchissima di sottotesto. Quali sono, secondo lei, gli strumenti culturali indispensabili per il pubblico al fine di coglierne almeno le cose che per lei sono più importanti da comunicare?

«La cosa migliore è quella di capire che la comprensione, a teatro, non passa per il linguaggio logico formale. Noi siamo stati educati in maniera così rigida e stereotipata che viene dalla struttura della nostra società, che non ci rendiamo conto che l'uomo è dotato di alcuni linguaggi. Uno è quello logico formale: sono andato al mercato per fare la spesa, lì ho incontrato Giovanni, ecc. e tutto torna. Poi abbiamo il linguaggio dei sogni, che è simbolico, tropico e dove non c'è il principio di non contraddizione. Poi il linguaggio delle libere associazioni e abbiamo anche la capacità di muovere simultaneamente dei linguaggi: io ascolto una canzone, che è un linguaggio che mi arriva, e mi evoca qualcosa che non ha niente a che fare con quella canzone lì. La prima cosa è lasciarsi andare perché a teatro si conosce con le emozioni. Qui la lettura non è così criptica: c'è un ricco farabutto che è appassionato di teatro, vuole recitare, gli piace la cosa della libbra di carne perché traffica in organi umani, è un feticista alla Hannibal Lecter, ma ci fa anche dei soldi. Tende questa trappola al regista: ti faccio fare questa cosa perché oggi non ci sono spazi ( è un'allusione alla situazione devastante di oggi), ma alla fine vorrà il cuore del regista. Se vuoi fare teatro oggi, ti devi strappare le budella, è l'unico modo. Il danaro è l'unico totem rimasto. Graziano, amico di Bassanio, lancia la scommessa: 1000 scudi su chi avrà il primo figlio. Renè Girard dice: "Valutano la carne umana meno di quanto non la valuti Shylock!". Si dice sempre "il danaro e gli ebrei": lei ha idea di che pandemonio sarebbe venuto fuori sui vari siti antisemiti, se Berlusconi fosse ebreo?».

Il monologo di Shylock viene ripetuto da molti dei personaggi, viene detto in molte lingue e ricontestualizzato pure dal punto di vista dei nazisti. Questa ripetitività risulta molto ecumenica, ma al tempo stesso tragicamente comica: sembra quando in "Train de vie" gli ebrei si travestono da nazisti per potersi salvare. Il fatto che si riesca a fare dell'ironia su una tragedia umana e immane come quella, vuol dire che in qualche modo si è riusciti a metabolizzarla o a vederla come qualcosa di, haimè, ormai fin troppo comune?

«Non si ride della tragedia, la si smonta; noi abbiamo un compito fondamentale verso i giovani: smontare l'attrazione per il titanismo del male. Non erano titani, erano omuncoli vigliacchi e miserabili, piccoli clown ridicoli, perché appena hanno smesso la divisa erano terrorizzati e tremavano come foglie».

L'Operazione Walchiria si diceva che non fosse un atto di conversione, ma un modo per stare dalla parte dei vincitori.

«Esattamente quello: perfino Hitler si è ammazzato pur di non andare davanti al mondo. Perché abbiamo messo il monologo di Shylock in bocca a Hitler? Perché Shakespeare, con quel monologo, dice che l'essere umano è universale e unico, prima della distinzione tra bene e male. Io devo riconoscere a un nazista il diritto di dire: "Non ho occhi io? Non ho mani? Un cuore?" perché altrimenti sono mostri e non si possono processare. Puoi processare un coccodrillo perché se gli capita una gamba davanti se la mangia? No: è un coccodrillo! Loro erano solo uomini. Anche un nazista può pronunciare quel monologo, perché ai tempi di Shakespeare il cattivo dei cattivi non era il nazista, era l'ebreo».

Il monologo ha una sua musicalità e una sua ritmica, ripetendolo continuamente all'interno della pièce, assume quasi delle connotazioni da vero e proprio tema musicale quasi fosse una colonna sonora sul cui contenuto si appoggia la scelta della musica stessa. La parola può essere a servizio della musica, in teatro?

«Assolutamente sì: io credo che il teatro nasca come evento complessivo . L'idea di teatro di prosa appartiene alla borghesia: lei si immagina i cori dell'Edipo come se fossero detti alla maniera della prosa aulica? Quelli erano un popolo di pastori, pescatori e marinai, nel Mediterraneo, magari con ritmi tamburi e cembali: sarà stato qualcosa di simile ai cori delle prefiche siciliane! Il teatro borghese ha commesso un grave crimine: dichiararsi "teatro" e tutto il resto sperimentazione. Il teatro è tutto e quella è solo una delle mille forme possibili. Il teatro è anche musica e pare che nella scrittura Shakespeariana ci fosse un rigo per l'intonazione: quando lei sente gli inglesi, schioccano le parole, le cantano, le lanciano. Noi abbiamo una tragedia in questo paese: è l'unica lingua in cui si dice suonare e recitare e non giocare. Come si dice?».

Play, jouer, spielen.

«In russo e polacco, lo stesso. Il nostro è un teatro musicale. Le dico cosa mi ha detto il grandissimo musicologo Roberto Leydi, carissimo amico: "C'è un grande equivoco sulla lingua italiana: prima di essere un sistema di segni è un sistema di suoni, se tu non conosci il russo, ma stai un mese con i russi, continuerai a non sapere il russo se non lo studi, ma sarai in grado di distinguerlo da un'altra lingua perché il sistema di suoni ti dirà la provenienza geografica". Abbiamo perso l'anima della lingua, non la sappiamo più cantare. I dialetti la sanno cantare, Dante la sapeva cantare, Benigni quando recita Dante».

Lei dice che le due cose più importanti per lei sono l'universalità dell'essere umano al di là del bene e del male e l'universalità del teatro. In questi due concetti per lei fondamentali, che ruolo deve avere un artista contemporaneo e dove si colloca?

«L'arte è uno strumento di conoscenza, i grandi fenomeni artistici diventano immediatamente universali: il blues, musica degli schiavi, la canzone napoletana, l'opera, i canti delle contadine bulgare. Il compito dell'artista è quello di avere la consapevolezza che lui svolge il ruolo di creazione dell'essere umano attraverso il conoscere e il riconoscersi. L'arte teatrale è quella in cui l'essere umano trova la sua centralità sacrale, perché è l'unico luogo dove ancora si possa dire la verità».

E le altre arti?

«Talora c'è: Salvador Dalì, o il grande teatro del mondo di Hieronymus Bosch, o l'immenso Goya. Come c'è nella musica. Il teatro è l'arte che si colloca tra arte stessa e vita, tra tutte è quella che più è messa in quel crocevia».

 

nr. 43 anno XV del 27 novembre 2010

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