NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Critica tutti, Vitaliano Trevisan, nel suo ultimo libro “Tristissimi Giardini”

C'è ne per Paolini, Meneghello, Gentilini, Hüllweck, i poeti che scrivono in dialetto e per l’educazione vicentina definita: “Un groviglio di vipere, un intruglio di ipocrisie”

di Gianni Giolo
giolo.giovanni@tiscali.it

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Critica tutti, Vitaliano Trevisan, nel suo ultimo

«Chiedo scusa, ma se mi chiamo artista è perché non trovo un nome migliore. Nel mio lavoro creativo io agisco solo d'istinto, non ho né merito né colpa. Sono additato da tutti come un vitello a due teste, un mostro; non ho lottato per acquistarmi questa fama, non lotterò per mantenerla. Oh sì, lo ammetto: ogni tanto la superbia rischia di darmi alla testa, ma mi basta, per un momento, pensare all'inutilità dell'arte in questo mondo umano, per raggelarmi. Ciò nonostante, l'istinto rimane». Così Vitaliano Trevisan, l'autore vicentino che è diventato di colpo famoso per aver scritto nel 2002 "I quindicimila passi", vincendo il Premio Campiello Francia, e per aver presentato al mondo Vicenza come una città di mostri, dove si sente dappertutto "puzza di preti", si definisce all'inizio del suo ultimo libro "Tristissimi giardini" (Editori Laterza). Prendiamo atto lui si definisce "un mostro" che scrive d'istinto e più con l'istinto che con la ragione ha scritto anche quest'ultimo libro che, tanto per cominciare, comincia con l'immagine di Vicenza come "cornice", "sfondo" e nulla più, perché a Vicenza più che altrove si avverte «la scissione tra lo sfondo e la vita di tutti i giorni, che appare vuota, insipida, futile, gratuita, decisamente non all'altezza di quel magnifico sfondo».

 

Scrittore d'istinto

Un bel pensiero molto originale, visto che la stessa cosa l'aveva detta un altro vicentino Goffredo Parise, che non scriveva d'istinto come lui, secondo il quale Vicenza «non è e non fu mai città composita, fatta cioè di uno sfondo, ma anche di primi piani, di persone di umanità, di cultura, bensì, priva come fu ed è di una società, è sempre stata ed è comunque, da ogni angolo la si guardi, uno sfondo e nulla più. Il perché è presto detto: è una città fatta come un teatro, anzi è un teatro, appunto con meravigliosi fondali, ricchissima di scenografie intercambiabili, tutte vere, tutte di pietra e mattone e cieli veri, costruita e comunque modellata, personalizzata da un solo scenografo-autore: Andrea Palladio». Da Vicenza a Treviso, città che si è identificata nella maschera ghignante del sindaco sceriffo, Gentilini, il quale «non manca di sbraitare periodicamente su ogni argomento cosiddetto sensibile, ricorrendo a un linguaggio così rozzo e volgare e a un atteggiamento così arrogante e indisponente, che sembra sempre di aver toccato il fondo, e ogni volta si conferma che c'è sempre un altro gradino da scendere e al peggio non c'è fine». Treviso - osserva lo scrittore - si merita questa triste nomea, come se la meritano il Veneto e il Nord-Est in generale. Si tratta di luoghi comuni che sono imposti e volgarizzati dalla stampa e dalla televisione che «semplifica e riduce e abbassa sempre tutto al livello dell'imbecille in generale, e dell'imbecille veneto nel nostro caso particolare».

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