NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Stavolta tocca ai suoceri

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Stavolta tocca ai suoceri

Ci sono persone che hanno fatto l'Isola e che già facevano teatro.

«Sì, quello è vero, chiamano gente che è già famosa e che quindi ha già una preparazione. Io parlo di quelli che si improvvisano, ma magari tra 20 anni diventano pure bravi, con l'insegnamento, l'esperienza, se si applicano e vanno a scuola. Io non voglio giudicare nessuno, certo però che questo non incoraggia: uno che ha fatto la gavetta, che cerca sempre di fare bene il suo lavoro, con professionismo, di rispettare il pubblico che ha davanti... io penso sempre a questo: questa sera sono a Lonigo, in un teatro, che tipo di pubblico è, quindi io ci penso prima, non è che vengo qui e timbro il cartellino. Io rispetto molto il pubblico, che è quello che mi permette di fare questo lavoro».

Lei appartiene a quella generazione di attori brillanti che ha fatto da spartiacque tra i grandi degli anni ‘50 e ‘60 e i giovani di oggi, che in qualche modo prendono spunto da voi. Un programma come Drive In era un cult già quando andava in onda eppure veniva criticatissimo perché considerato diseducativo. Oggi viene ancora definito da molti un programma che ha dato il via alla comicità volgare in tv e al cinema, eppure eravate quasi tutti attori di teatro, tant'è vero che poi il pubblico di qualità vi ha sempre premiati con un grande successo. Questi equivoci sono tipici del meccanismo televisivo che falsa ciò che viene mostrato oppure cos'altro?

«Io penso che siano appunto tipici del meccanismo. La tv abbraccia una grande massa di pubblico che poi si divide: c'è chi segue un programma, chi un altro, c'è gente di cultura, gli anziani o i perbenisti: è impossibile condividere tutto quello che si vede in tv. Al Drive In facevamo vedere le ragazze fastfood, ma in confronto alla volgarità che si vede oggi...Mi sembra davvero una cosa assurda, rispetto alla volgarità di certi film che escono a Natale. Credo che Drive In sia stato un cult per i suoi ritmi, il nonsense, e anche la follia che questo programma aveva, basta citare anche solo Asfidanken tra le altre molte cose: era un programma fatto con occhio ironico. I monologhi che facevo all'inizio e alla fine, che ancora oggi li vedo e io sono un giudice severo verso me stesso, rivedendoli ora, sono ancora buoni e attuali, non c'è compiacimento, nessuno che si ferma per aspettare la risata. Se il pubblico lo afferra,lo afferra, questa è sempre stata la nostra regola. Poi abbiamo messo le belle donne, ma non mi sembra così grave, non abbiamo mai usato parolacce o doppi sensi, mai. La volgarità per me è altra: sono le cose amorali che ci sono oggi che sono volgari al massimo e che io non approvo e non vedo. La televisione di oggi è peggiore».

Lei ha detto che il segreto del successo è non deludere il pubblico e dargli ciò che si aspetta. Questo non cristallizza gli artisti? L'artista non dovrebbe "tirare un po' la corda" con gli spettatori?

«Un'artista deve seguire la sua strada, tant'è che io ho rifiutato la televisione: potevo rimanere a Mediaset dove mi offrivano contratti decennali. Ho lasciato la tv dopo averne fatta tanta per 15 anni e con tanto successo, sono stato anche fortunato in questo, ma ho scelto il teatro anche se ho continuato a fare qualcosa, con Raffaella Carrà a Carramba o con Johnny Dorelli a Fantastico nel '94, però ho scelto la mia strada. Un attore non deve concedersi completamente al pubblico, deve rispettare ciò che il pubblico pensa e capire cosa vuole in quel momento, ma non deve dare cose brutte: bisogna sempre scegliere la buona qualità; 4 anni fa ho fatto "Indovina chi viene a cena", che è un tema ancora attuale, voleva essere una scelta non commerciale e la gente veniva a vederlo, poi ho fatto "Un giardino d'aranci fatto in casa" di Neil Simon e la gente si aspettava qualcosa di brillante perché D'Angelo è quello che fa ridere e dimenticare qualche pensiero. Invece ho scelto il tema del conflitto generazionale tra padre e figlia, con momenti anche tosti: non era di concessione. Per cui, come vede, gli attori fanno delle scelte, quella di quest'anno è la commedia un po' più semplice, da ridere e questo è giusto. Bisogna rispettare il pubblico, ma anche se stessi».

Il pubblico televisivo, teatrale e cinematografico sta cambiando in maniera omogenea o la forbice tra pubblico di qualità e pubblico meno preparato e quindi più manovrabile si sta aprendo sempre di più, secondo lei?

«Un pochino si purtroppo: se uno propone le cose senza pensare mai a ciò che sta offrendo, poi la gente si abitua male e comincia ad amare le cose anche un po' così, brutte».

 

Foto di Ennio Sterchele

 

nr. 45 anno XV dell'11 dicembre 2010

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