NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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La scommessa narrativa della scrittrice Leonora Sartori

Nel primo romanzo della giornalista vicentina, un viaggio nel Sud Africa degli schiavi, per capire la portata dei sogni confrontati con i progetti sociali dell’umanità

di Laura Campagnolo

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La scommessa narrativa della scrittrice Leonora Sa

Una riflessione sull'interrogativo nutrito dalla generazione degli anni '70 e '80 intorno alla vera fisionomia dei miti della generazione precedente. Un confronto culturale tra due estremi generazionali che si pongono alcune domande sulle battaglie e sulle ideologie, magari magnifiche ed epiche, del passato e del presente, condensate in un unico libro. "La forma incerta dei sogni" è il nuovo romanzo di Leonora Sartori, giornalista vicentina alla sua prima esperienza letteraria. Quasi una scommessa narrativa per scoprire che una generazione non basta per capire la portata dei sogni e dei progetti civili e sociali dell'umanità.

 

Il suo libro parla di memorie infantili e impegno sociale, in una sorta di sfida personale per superare i fantasmi del passato. Qual è "La forma incerta dei sogni"?

«Qualcosa a metà strada tra un puffo blu che saltella felice nella foresta e un Rambo qualsiasi che si lancia addosso al nemico con il coltello tra i denti».

Tutto parte dal ricordo di un adesivo arancione che riproduceva cinque uomini e una donna con le mani legate dietro alla schiena e che era incollato alla cassettiera della sua camera di bambina, tragico spettro dell'apartheid nel Sudafrica...

«Non era tragico. Almeno non per Leo, la protagonista del libro, che molto mi assomiglia, non solo nel nome. Da bambini si è abituati a far convivere bello e brutto, male e bene, divertimento e sventura e tutto questo si mescola anche nella cassettiera di Leo. Gli adesivi di Kiss me Licia e i puffi si affiancano a quelli contro il nucleare o contro l'apartheid. Leo bambina crea una sorta di fantamondo in cui tutto questo convive con leggerezza e non mette in discussione gli elementi reali o mitici che trova in casa, sia che si tratti di mobili, colore delle pareti, programmi televisivi o scelte di vita».

In che modo i suoi ricordi diventano «bolle che nascono dal basso e scoppiano appena raggiungono la superficie»?

«Accade durante il viaggio di Leo in Sud Africa. Quando finalmente decide di andare a vedere di persona gli eroi familiari e di scoprire i volti dei miti per cui la sua famiglia si era battuta. Il viaggio collega come un filo rosso due parti della sua vita e due estremi del mondo, uniti senza sapere di esserlo. I ricordi di Leo riemergono alla consapevolezza diurna scivolando attraverso canali remoti».

Come le sue parole includono «colori, odori, suoni e ticchettii, luccichii e sapori»?

«La memoria funziona attraverso canali imprevisti, sinapsi di sinestesie che possono avere odore di cavolo o la ruvidità di un vecchio asciugamano».

Ad un certo punto, nella sua vita arriva il momento in cui bisogna affrontare il nodo, partire per Sharpeville e andare alla ricerca di quei sei che giacciono «nell'angolo buio della sua coscienza». Perché?

«È un'azione sconsiderata. Una di quelle decisioni impetuose che possono cogliere impreparati anche noi stessi, ma che sotto sotto nascondono profonde radici nella nostra storia personale. Leo decide di prendere in mano il suo passato e andare alla ricerca di un piccolo, apparentemente insignificante, tassello mancante: cercare di vedere in faccia quei sei di Sharpeville che avevano popolato la sua cassettiera per anni e scoprire chi sono gli eroi familiari».

Ci può raccontare l'esperienza del suo viaggio in Sudafrica?

«Servirebbe un altro libro. Posso dire che è stata una doccia fredda di verità e un bagno di miele di accoglienza».

Quando torna, alcune sue convinzioni sono cambiate: non esistono eroi, ma delle persone che fanno delle scelte e sanno essere coraggiose...». Com'è maturata questa idea?

«Dall'incontro faccia a faccia con i sei Sharpeville, che dopo aver passato diversi anni nel braccio della morte in attesa dell'esecuzione vengono liberati alla fine dell'apartheid ad inizio anni Novanta, Leo cerca di ricostruire la loro storia. Quello che porta a casa non è un'idea triste sull'assenza di eroismo, ma un altro modello di coraggio, diverso da come lo aveva immaginato. Più pagano. Senza musiche trionfanti di sottofondo. Un tranquillo tè delle cinque coi petardi».

Come spiega la conclusione che «le battaglie sono più lunghe e a volte funzionano con il metodo della staffetta», passandosi il testimone? 

«Quando nasce, ognuno di noi riceve una palla di argilla molle da modellare. Può farne ciò che vuole. La palla è una strana forma di dna, che ciascuno di noi trasforma e digerisce come crede. A metà tra libertà e condizionamento e con una buona dose di improvvisazione».

 

nr. 01 anno XVI del 15 gennaio 2011

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