NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Un presepio bello e dimenticato quello che creò Neri Pozza

Vicenza potrebbe partire da quest’opera per ricordare il suo poliedrico autore, ingegno tra i più validi di cui la nostra città si possa vantare

di Resy Amaglio

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L'Epifania si porta via tutte le feste, vuole il detto popolare. Anche a Vicenza si smontano gli addobbi luminosi che hanno inghirlandato le strade in questo Natale di crisi. Minacciata da una seconda alluvione, la città ha reagito adoperandosi a mostrare un volto invitante, ad essere insomma attiva e ottimista come si conviene all'incensata leggerezza dei nostri giorni.

Si conclude dunque il rito che impone la reiterazione annuale di gesti e parole di buon augurio, ancora confortanti malgrado la percezione di una precarietà diffusa e invasiva che sta rendendo sempre meno rassicurante il richiamo a tradizioni serene. Nelle nostre frettolose famiglie si ripongono gli ornamenti dell'albero di Natale e le statuine di presepi divenuti di anno in anno meno numerosi.

Simbolo discusso, ammirato e spesso rimpianto quale sintesi di antiche nostalgie, il presepe è infatti la prova irripetibile di un gusto ormai diluitosi in sollecitazioni che poco hanno da spartire con la festosità del passato.

«Te piace ‘o presepe»... insinua il vecchio Eduardo per coinvolgere il figlio alla gioia di un rituale intimo e irrinunciabile, la rappresentazione domestica della Natività. Ripensata oggi, la battuta tormentone del suo Natale in casa Cupiello sembra far uscire da una pagina ingiallita dal tempo un tassello di mondo lontano e obsoleto, coperto dai veli polverosi dell'amnesia.

Così, dalla Napoli d'anteguerra a Vicenza, dalla letteratura all'arte, i passi a ritroso nella storia portano a un altro presepe confinato nella memoria di pochi, quello che Neri Pozza realizza nel 1949, dopo una lunga gestazione, come egli stesso dirà in seguito. La composizione, oggi in collezione privata, è stata ospitata nel 1953 in una saletta del circolo "Il Calibano", accompagnata dalla lettura critica di Licisco Magagnato; ripresentata al pubblico nel 1982 al Museo Civico di Palazzo Chiericati, è esposta un'ultima volta nel 2000 a Palazzo Pretorio di Cittadella e a Villa Valle di Valdagno, all'interno di una mostra dedicata agli artisti vicentini del Novecento, per la cura di Giuliano Menato.

Concepita come una sacra rappresentazione dal sapore sottilmente letterario, l'opera non segue schemi tradizionali ed è ricca di connotazioni emotive molto personali. Nell'insieme essa si svolge al modo di un racconto realistico reso da diciassette piccole sculture in terracotta, di meditata asciuttezza plastica: il fulcro sta nel gruppo della Natività, dove gli Angeli adoranti, il Bambino e San Giuseppe affiancano la Madonna, stesa supina sopra un alto giaciglio, in posizione di completo abbandono a un riposo che pare estraniarla dal mistero dell'evento.

Sulla scena di una singolare lauda popolare, Pozza convoca Re Magi, Vecchi saggi e Donne festanti, ma anche Lo storpio, Pastori e Dormienti, un campionario di umanità anonima nella quale s'intrecciano motivi di allegrezza e sofferenze, con la naturalezza propria delle umane cose. Intrisa di un pregnante simbolismo, la minuscola folla cammina sulla via di una Betlemme universale, in una sorta di presente continuo scosso dalle vibrazioni dell'annuncio divino.

In questa creazione della prima maturità del nostro artista sono ancora leggibili le tracce di un ideale apprendistato giovanile, sensibile alle lezioni dei maestri, remoti e prossimi, che hanno alimentato la sua formazione, dagli amati protagonisti della scultura rinascimentale ai contemporanei Arturo Martini e Marino Marini. S'intuisce però nel Presepio il senso di una radicale esclusiva modernità di sentimenti, che ne decanta la caratterizzazione stilistica e trascende ogni riferimento obbligato, permeando di sé l'intera composizione.

Neri Pozza trae i suoi personaggi dal nucleo vivo di una religiosità profondamente civile, coerente a una realtà non di rado aspra, come scabra è la pelle della terra con la quale li plasma, sino a condurli a interpretare, con il "dramma gioioso," un capitolo di storia partecipata e credibile, capace di travalicare i limiti del tempo.

Certo, nell'Italia di quegli anni, devastata dal conflitto mondiale da poco concluso, nessun giovane di talento avrebbe inserito immagini modaiole accanto alle consuete, riprendendole dai pettegolezzi della cronaca mondana antesignana di certi talk show televisivi, allo scopo di attualizzare disinvoltamente la tradizionale rievocazione del sacro accadimento; né avrebbe progettato un presepe da brandire come un'arma contro la religione o addirittura la civiltà altrui.

Pozza costruisce, semplicemente, un'opera d'arte.

Ora che nel nostro Paese si fanno ovunque appelli a sostegno della cultura e si spendono fiumi di parole sulle radici di un bene identitario sommo, Vicenza potrebbe sommessamente aprire un proprio cammino virtuoso, partendo anche da un presepe dimenticato e dal suo poliedrico autore, ingegno tra i più validi di cui la nostra città si possa vantare.

 

nr. 01 anno XVI del 15 gennaio 2011

 

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