NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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La “vicentinità” per lo scrittore Guido Piovene parte dal suo illustre rappresentante Fogazzaro

Ancora nel 1942, nella rivista “La Lettura”, scriveva che «Vicenza non è una città di provincia come le altre, ma è una città priva di storia ma una città d’invenzione, pura fuga della fantasia»

di Mario Bagnara
mario.bagnara@fastwebnet.it

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La “vicentinità” per lo scrittore Guido Piovene pa

In occasione del centenario della morte di Antonio Fogazzaro ritengo importante ricordare che un altro dei nostri massimi scrittori del novecento, Guido Piovene [foto] (Vicenza 1907 - Londra 1974), lo definì «il prodotto più illustre, più compiuto e più celebre della "vicentinità"». Un giudizio sicuramente autorevole, dati i profondi legami che Piovene mantenne sempre con la sua città natale, nonostante il suo lungo vagabondaggio, determinato dalla sua intensa attività giornalistica di corrispondente da vari paesi stranieri.

Fra i documenti donati alla Biblioteca Bertoliana e conservati nell'Archivio degli Scrittori Vicentini ci sono infatti anche alcune lettere autografe in cui dichiara: «Io sono uno scrittore, non soltanto nato a Vicenza, ma che tiene in modo speciale ad essere e a chiamarsi vicentino, perché Vicenza ha una parte preponderante in quella memoria poetica che è la generatrice delle fantasie e delle idee... Anche viaggiando nei paesi più lontani, talvolta, per un'associazione misteriosa, per un incontro di colori e di luci che io stesso non riesco a decifrare, sento Vicenza venire verso di me. E dico: ecco, c'è qualcosa nell'aria che mi ricorda casa mia... sono legato a questi luoghi come a un grembo da cui non so staccarmi».

«Fogazzaro? Il est de Vicence» (D'Annunzio)

E la valutazione di Fogazzaro da parte di Piovene che per un lungo periodo risiedette anche a Parigi (1947-'58) come corrispondente del Corriere della Sera e poi de La Stampa, incaricato nel 1949-‘50 anche della direzione della sezione di Lettere e Arti dell'UNESCO, smentisce apertamente quanto di lui andava affermando nel periodo parigino. Gabriele D'Annunzio [foto], presuntuoso megalomane e forse invidioso del prestigio di cui godeva a Parigi il nostro scrittore concittadino: «Fogazzaro? Il est de Vicence» (espressione riportata da G. Ojetti sul Corriere della Sera dell'11 gennaio 1911). Probabilmente lo scrittore abruzzese non aveva letto la lunga relazione che su Fogazzaro aveva scritto il francese Gabriel Mourey su Le Figaro l'11 settembre 1909, dopo aver fatto visita a Vicenza, accolto e ospitato affabilmente nella "villa di San Bastiano sopra Vicenza, a metà salita di Monte Berico... che la Madonna del Monte abbraccia", "al celebre autore di Daniele Cortis e de Il Santo", "un grande letterato borghese". Il signor Fogazzaro in Francia condivide con Gabriele D'Annunzio il privilegio di rappresentare la letteratura italiana d'oggi... ed è raro, presso un certo pubblico, che si parli dell'uno senza parlare dell'altro».

La "vicentinità" da Fogazzaro ai giorni nostri

E secondo Guido Piovene che pure dovette subire qualche giudizio poco esaltante per la sua "vicentinità" (in occasione del centenario della nascita Franco Cordelli sul "Corriere della Sera" del 5 marzo 2007 sottolineò il suo «carattere molto veneto, vicentino; quindi pieghevole fino al ludibrio»), è proprio questo uno degli aspetti più importanti e originali del Fogazzaro, a lui per altro legato anche da legami materni di parentela (Fogazzaro nel 1866 aveva sposato Margherita Valmarana [foto] e madre di Piovene fu Stefania Valmarana).

Ed è proprio di Guido Piovene il merito di aver ben definito, analizzando le opere di Fogazzaro, le caratteristiche di quella "vicentinità" che ormai viene riscontrata anche in molti scrittori vicentini che vanno dalla seconda metà dell'800 ai giorni nostri (da Giacomo Zanella e Paolo Lioy a Goffredo Parise, Neri Pozza, Antonio Barolini, Gigi Meneghello, Virgilio Scapin, Mario Rigoni Stern e Fernando Bandini).

Vicenza e Fogazzaro secondo Piovene nella rivista "Lettura" del 1942

Infatti in un lungo servizio pubblicato nella rivista "La Lettura" del "Corriere" dell'8 agosto 1942 scriveva: «Vicenza non è una città di provincia come le altre cento città di provincia italiane. Per molto tempo, e certo ancora ai tempi di Antonio Fogazzaro, e ancora fino a pochi anni fa (e forse, nel suo profondo, ancora oggi) Vicenza è stata quasi una piccola patria, con tradizioni di nobiltà e di cultura, con uno spirito diverso anche da quello delle altre città del Veneto, con cui da lontano potrebbe essere confusa. Chi vi è nato conosce presto quella "vicentinità", di cui ha sentito parlare fin dai primi anni di vita, e di cui subito ha sentito il sapore. Si pensi che questa città di palazzi fastosi, di ville gentilizie, di grandi portici a colonne... questa città teatrale... è una città pressoché priva di storia... Né una repubblica trionfante, né un principato potente, si fermarono mai all'ombra dei colli Berici, tra Bacchiglione e Retrone. Vicenza è tutta una città d'invenzione, una capricciosa e pura fuga della fantasia... Ecco dunque Vicenza si prolunga nei secoli fantastica ed astratta, pari a scenario teatrale: una piccola reggia aulica di melodramma... Questo è necessario per capire lo sfondo dell'arte di Fogazzaro il quale, oltre ad essere un grande romanziere, alle radici fu anche il prodotto più illustre, più compiuto e più celebre della "vicentinità".

La città di Vicenza, nel suo aspetto esteriore, gli diede poche ispirazioni: forse una sola pagina di Piccolo mondo moderno, dove si parla della Piazza, della Torre e della Basilica. Nemmeno Palladio forse fu molto caro a Fogazzaro, il cui gusto tendeva piuttosto al prima e al dopo, al gotico e al Settecento. Ma... l'anima della città, orgogliosa e dialettale, il melodramma dei signori cinti di pettegolezzo, il cui popolo era costituito dai servi... e le lotte politiche per un seggio al Comune, solenni come se si decidessero in esse le sorti della patria... e le bellezze femminili, i cui profumi, le cui rose, i cui veli, le cui complicazioni e controversie di cuore erano celebri tra Vicenza e Arsiero; tutto questo è passato nei libri di Fogazzaro, e vi resta fondamentale».

E lo stesso paesaggio vicentino, da lui colto «più dai dintorni che dalla città palladiana... sfumato e morbido, tutto evasivo ed impreciso... convenne a meraviglia al suo temperamento». E dopo precisi riferimenti a Piccolo mondo moderno, Daniele Cortis e Leila (gli unici romanzi ambientati nel vicentino), osserva: «Il paesaggio non è mai sfondo immobile, pannello decorativo, ma è personaggio vitale, che raccoglie ed esalta con le sue vicissitudini i sentimenti variabili dei protagonisti, e spesso, attore esso medesimo, coi suoi suggerimenti o voluttuosi o severi, li incita e li raffrena».

 

nr. 08 anno XVI del 5 marzo 2011

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