NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Paola Drigo, settant'anni dopo

di Gianni Giolo
giolo.giovanni@tiscali.it

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Paola Drigo, settant'anni dopo

ALCOLISMO E INCESTO

Il romanzo fu però ristampato da Garzanti nel 1939, 1946 e 1953. Nel frattempo altre opere di altri scrittori sovrastarono questo capolavoro, che rimase così dimenticato o del tutto sconosciuto fino al 1982, quando il regista Vittorio Cottafavi realizzò il film "Maria Zef", che RaiTre trasmise poi in una serata memorabile a diffusione nazionale, suscitando interminabili discussioni in Carnia tra chi aveva visto il film e chi non lo aveva visto (RaiTre allora arrivava solo fino nella conca di Tolmezzo, mentre le valli della Carnia ne erano ancora escluse). A questo film (con dialoghi in lingua friulana), che fu girato in vari luoghi (interni a Paluzza e Ampezzo, esterni a Forni e Villa), diedero il loro contributo molte comparse carniche. Da ricordare Siro Angeli (il poeta di Cavazzo) che, oltre a esserne sceneggiatore, interpretò il protagonista Barbe Zef e la piccola Anna Bellina di Treppo Carnico che recitò il ruolo di Rosute. Per il carnico però questo resta un romanzo assai difficile e controverso. Se da un lato descrive e dipinge uno dei luoghi più incantevoli della Carnia, dall'altro indugia e scava su personaggi che sintetizzano gli aspetti più deteriori del montanaro. Tutti sanno che un tempo alcolismo, incesto e analfabetismo fossero il determinatore comune di ogni comunità isolata (montana e non), dove si consumavano, all'interno delle mura domestiche, quotidiani drammi e infinite tragedie che lasciavano il segno poi per le generazioni future. Questa intollerabile rappresentazione della Carnia e della sua gente (quasi che questi vizi fossero invece la cifra particolare di questa terra), ha per anni creato una vera e propria ripulsa per questo romanzo e per questo film, che tuttavia erano e sono, dal punto di vista estetico, delle opere di assoluto rilievo. "Maria Zef" è il romanzo della miseria: miseria materiale e miseria morale, entrambe determinate da un destino incomprensibile e indeterminato, che si intrecciano e si avviluppano verso un esito drammatico, che non lascia spazio a una pur tenue speranza. I personaggi (Catinute, Mariutine, Rosute, Barbe Zef) vengono tratteggiati in maniera precisa, a tratti impietosa, sempre aderente alla realtà, quasi verista. Perfino il cane Petòti assume un ruolo di rilievo in questo romanzo, che offre splendidi affreschi naturali, gravi silenzi attoniti, leggere atmosfere di sentimenti purissimi, ampi squarci di sereno bruscamente interrotti dallo scroscio selvaggio del temporale e della violenza.

TRAGICO REALISMO

Patrizia Zambon, ha curato nel 2005 la riedizione di Fine d'anno (Carabba) e nel 2006 una scelta di Racconti (Il Poligrafo). La produzione letteraria della Drigo, iniziata nel 1913 con la raccolta di novelle La fortuna, prosegue con la raccolta Codino, edita nel 1918 da Treves: in tutto quattordici testi, alcuni già stampati su riviste a larga tiratura. L'editore vicentino Jacchia pubblicò nel 1932 La signorina Anna,con altri sei racconti, apparsi su riviste nei dieci anni precedenti. Sono tendenzialmente due i campi emozionali e narrativi nei quali la Drigo elabora i suoi racconti: quello di un tragico realismo, infinitamente dolente, e quello di una mondanità leggera e sorridente, o amaramente disincantata. Novelle quindi d'impianto realista, dure e ferme, come le giudicò Manara Valgimigli, quando nel 1940 volle ripercorrere, in un articolo redatto per la "Nuova Antologia", i temi e le forme della narratrice che non manca di una risentita ed emozionata volontà di denuncia. Categorico il suo giudizio sulla scrittrice, che aveva conosciuto quando, ormai gravemente malata, aveva lasciato Mussolente per il villino padovano di via Paleocapa: «Veramente la Drigo è una maschia donna. È una scrittrice virile». «Poche straordinarie righe - commenta la studiosa Delia Garofano - che mi pare esprimano nella maniera più perfetta tutto ciò che c'è da capire Paola Drigo». «Scrittrice virile, dunque la Drigo, ma oggi - precisa la studiosa - si preferisce definirla semplicemente "scrittrice", non perché "virile", ma perché "squisitamente donna". Donna per la sua fedeltà, l'esattezza formale lungamente perseguita, l'amorosa attenzione usata nella rappresentazione e nella resa espressiva del senso taciuto delle tante, diverse e pur sempre "ferite" esistenze dei suoi protagonisti».

 

nr. 08 anno XVI del 5 marzo 2011

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