“Cuor di Veneto” è il libro di Stefano Lorenzetto che smonta i tanti stereotipi sui veneti. Le storie incredibili di Andrea Stella, Eugenio Benettazzo e Ruggero Frezza.
«Il lavoro non è nemmeno un dovere, per i veneti: è il senso stesso del vivere», in questa frase si può condensare il sugo del libro di Stefano Lorenzetto [a sin.] “Cuor di Veneto” (anatomia di un popolo che fu nazione) (Marsilio Editore). Lorenzetto, vincitore del premio Saint-Vincent e del “Guinness World Records” per la più lunga serie di interviste da un’intera pagina che sia mai apparsa sulla stampa mondiale, è un veneto, figlio orgoglioso di un popolo che fu per 1.100 anni nazione, che racconta la poliedrica storia di una regione che è erede della repubblica più longeva che si ricordi sulla faccia della terra. Partendo dalla sua esperienza personale di povertà e di fatica, l’autore smonta molti stereotipi giornalistici, come quello dei veneti antipatici e sgobboni, che odiano i meridionali scansafatiche e fannulloni, per arrivare alla conclusione che il Veneto è una repubblica fondata sul lavoro. Volete sapere cosa risponde il patrizio veneziano Ranieri Da Mosto a chi accusa i veneti di essere antipatici? «L’imprenditore veneto – spiega Da Mosto – si suicida per responsabilità verso i dipendenti, perché non riesce a pagargli lo stipendio. Le risulta che succeda qualcosa di simile in altre parti d’Italia? Mi spiace dirlo, ma quel Francesco De Vito Piscicelli, il costruttore napoletano che voleva far affari dopo il terremoto dell’Aquila, arrestato in seguito all’agghiacciante conversazione telefonica col cognato – “io ridevo stamattina alle 3 e mezzo dentro al letto” – è un mio lontano cugino. La differenza fra il Sud e il Veneto è tutta qui. Loro sono abituati al pasticcio. “T’ho fatto fesso”: questa è la gioia del meridionale».
I veneti mugugnano ma sgobbano
E volete sapere perché Bisaglia e suo fratello don Mario sono stati fatti fuori? Non vorrete per caso credere che lui è caduto in mare per un malore e che suo fratello si è suicidato in un lago del Cadore? La risposta è sempre di Da Mosto: «perché, come Rumor, Gui e Ferrari Agradi, garantiva l’autonomia del Veneto». Per questo l’hanno ammazzato. E volete sapere qual è la miglior dote dei veneti? La tenacia e la tranquillità, perché si sentono la coscienza a posto.
I veneti che mugugnano ma sgobbano, che protestano contro la rapacità dello Stato, ma pagano le tasse, che sognano l’indipendenza ma non si appellano mai a vallate in armi, che si mostrano sospettosi con gli stranieri ma ne accolgono più di qualsiasi altra regione dopo la Lombardia, che non sono ancora pronti a fondere il bianco col nero ma continuano a mandare missionari a morire in Africa sulle orme di monsignor Daniele Comboni, che sembrano aridi ma vantano un’impressionante fioritura di opere buone, che tirano su capannoni ma si struggono di nostalgia per le ville palladiane, hanno ancora quest’enorme fortuna di ricordare da quali sacrifici è scaturita la loro ricchezza e di vivere come se tutto fosse in prestito, come se l’incantesimo potesse rompersi da un momento all’altro.
Il capitano coraggioso
Lorenzetto intervista il vicentino Andrea Stella che da molti anni vive in una carrozzella e confessa: «non rinuncerei a ciò che sto facendo in cambio della promessa di poter camminare di nuovo». Lo Spirito di Stella – il nome di una barca, di un’associazione, di un sito Internet, di una filosofia di vita – è quello di un naufrago che si scopre eroe: «ero concentrato soltanto sul mio suicidio. Avevo vissuto bene, in piedi, fino a 24 anni. Perché mai dovevo accettare un’esistenza dimezzata? Solo che non sapevo come fare. Buttarsi dalla finestra non è così semplice, per un paraplegico. Il cocktail letale richiede che qualcuno ti procuri i farmaci giusti. Portatemi una pistola, mi veniva da urlare, siate buoni». Stella ha reagito, non si è suicidato e ha fondato Lo Spirito di Stella, un’associazione che ha avuto per i primi sostenitori re Juan Carlos di Spagna e s’è fatto costruire un catamarano per disabili lungo 17,5 metri, poi è salpato da Genova, ha attraversato l’Atlantico e ha portato per mare 700 fra disabili e ospiti. Inoltre ha scritto “Due ruote sull’oceano”, premio Bancarella, ha bandito con Autogrill un concorso internazionale di idee e ha creato il primo bancone bar accessibile anche ai paraplegici, ha cominciato a costruire a Bassano del Grappa la Casa per tutti a disposizione di pazienti con danni spinali.
Il Beppe Grillo dei poveri
Eugenio Benettazzo, operatore di Borsa indipendente, nato a Sandrigo 37 anni fa dovrebbe essere chiamato Dow Jones, soprannominato “il Beppe Grillo dei poveri”. Ha previsto con due anni di anticipo, con il suo libro “Duri e puri. Aspettando un nuovo 1929” la gravissima crisi economica dei 2008-2009: crollo delle Borse, mutui da suicidio, disoccupazione galoppante e scenario argentino per l’Italia. Da otto anni vive e lavora fra Vicenza e Malta. Viene intervistato da tutte le televisioni e fa conferenze dovunque prevedendo l’esaurimento del petrolio, il rischio di un crac di Borsa peggiore del ’29, l’esplosione della bolla immobiliare, la fine del turbocapitalismo, una caduta nel Medioevo e in un’era postindustriale in cui si tornerà a coltivare la terra con la zappa e predicando la nazionalizzazione delle banche, perché «non è possibile che una lobby privata decida la vita e la morte delle piccole e medie imprese».
Frezza trova Marzotto
Passiamo al caso incredibile di Ruggero Frezza, docente di controlli automatici e visione computazionale fino al 2008 alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Padova, inventore del Maia, un apparecchio unico al mondo che è in grado di scoprire se la macula lutea dell’occhio risulta sana o no. Inoltre è fondatore del M31, un’azienda che sforna aziende. Un’impresa al quadrato, forse al cubo. L’M31 conta di creare almeno tre nuove aziende all’anno. Si è laureato con 110 e lode in ingegneria elettrotecnica all’università di Devis in California, poi ha vissuto tra Svezia, Francia e Olanda e Austria, e infine si è fermato a Padova. È innamorato della scienza dei sistemi che è la scienza che permette di capire tutto: da come si costruisce un autofocus al perché le formiche sono organizzate in un certo modo. Un suo allievo lo usa per controllare la popolazione dei salmoni nei fiumi dell’Oregon e della California e per regolare la pesca nell’Oceano Pacifico. Sta alla base dei 20 prodotti inediti e dei 7 brevetti concepiti in questo incubatoio. Per finanziare l’M31 Frezza si è rivolto a tutti gli industriali che gli hanno sbattuto la porta in faccia finché non ha trovato un imprenditore geniale come Giannino Marzotto [a sin.], che abita in un antico mulino a Trissino, che si è appassionato al progetto e ha sborsato sulla parola quasi due milioni di euro. «Ha investito su un’idea e oggi – dice orgoglioso Frezza – la nostra piccola galassia è valutata 9,5 milioni di euro». Tutti gli danno del pazzo, ma lui è convinto che il suo M31 avrà successo. «Purtroppo in Italia – spiega Frezza – più si sale col titolo di studio e meno si vuol fare l’imprenditore. Si vuole continuare a fare sempre gli stessi mestieri: notaio, avvocato, medico, ingegnere. Il difetto del Nordest è che non ha il coraggio di destinare una parte del suo immenso capitale alla ricerca. Preferisce le imprese familiari che nascono da opportunità casuali anziché da progetti».
nr. 13 anno XVI del 9 aprile 2011