Lei cosa pensa di quel film?
«Il film mi è piaciuto moltissimo e mi ha commosso, la musica poi è eseguita benissimo. C’è da dire che non è un film storico, se uno non sa nulla e va a vedere il film, pensa che i fatti si siano svolti così, invece no, è molto più sottile perché il gioco che vuole fare il regista è quello di mettere a confronto la mediocrità con la genialità. C’è poi questa fida a Dio da parte di Salieri. L’unica precauzione è informarsi di quello che è successo veramente e poi, attraverso questo, vedere il filtro. La cosa che trovo bellissima è quando è sul letto di morte e compone il Requiem e vedere come vengono sovrapposte le voci credo che sia interessantissimo per il pubblico».
Lì Milos Forman ha centrato davvero il personaggio, come questa persona avesse veramente tutta la musica in testa con chiarezza e senza confusione, tra l’altro.
«Certo, lui aveva un’essenzialità che con pochissime cose, con combinazioni inedite e geniali e pochi mezzi, poi lui scriveva in brevissimo tempo, riusciva a dire tutto quello che c’era da dire».
Il Corriere della Sera l’ha definita “uno dei migliori direttori rossiniani”. Rossini si ispirò moltissimo a Mozart. In quale dei due lei si riconosce maggiormente e quale dei due invece è più impegnativo da dirigere e perché?
«Io mi riconosco in entrambi devo dire e cerco di valorizzarne le differenze. Sono molto legati, come diceva lei giustamente, tant’è che Rossini, in gioventù, veniva definito “il tedeschino” in Italia. Nonostante noi adesso lo vediamo come leggero o pensiamo ai suoi accompagnamenti orchestrali come banali, invece era proprio il contrario perché lui aveva trovato questa sintesi perfetta tra il canto italiano e l’utilizzo della strumentazione alla tedesca studiando Haydn, Mozart e Beethoven».
Chi sono gli altri musicisti che raccolsero l’eredità di Mozart in egual misura a Rossini o anche a Beethoven, anche in maniera più ampia? Quanto di Mozart si trova nella musica di oggi?
«Tchaikovsky o Prokofiev si sono ispirati a lui: rimane un modello di bellezza assoluta. Come Palladio, Shakespeare, Dante, Bach, sono quelle vette e sintesi del genio umano che poi rappresentano la nostra umanità e profondità».
Ecco, lei cita Shakespeare: ciò che accomuna Shakespeare a Mozart è, probabilmente, la grande capacità di gestire in maniera magistrale la contrapposizione, la dualità, il paradosso, uno con le parole e l’altro con la musica. Potrebbe essere che i grandi artisti hanno insito in loro questo grande paradosso o ci possono essere anche dei grandi artisti più lineari?
«Secondo me, i grandi artisti hanno una visione della vita. Il loro messaggio è sempre attuale e importante, hanno sempre qualcosa da dirci. Appunto, Mozart e Shakespeare sono molto legati perché vedono la vita come teatro e rappresentano la vita nel loro teatro. Se si guardano le lettere di Mozart, era un grandissimo osservatore delle persone e di ogni persona sapeva cavare subito il carattere e anche delle situazioni, si divertiva tantissimo ad osservare ciò che succedeva e questo si sposava con la sua innata musicalità. Diciamo che naturalmente rappresenta delle cose che poi tutti noi riusciamo a vedere e a cogliere, magari inconsciamente, ma in maniera molto profonda, nelle sue opere».
nr. 21 anno XVI del 4 giugno 2011
_________________________________________________
foto gentilmente concesse da COLORFOTO