NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Quanta fatica essere imprenditori di se stessi

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Quanta fatica essere imprenditori di se stessi

Il mercante d’arte, quando racconta delle sue tecniche di seduzione, ha come sottofondo il celebre valzer di Castellina Pasi che faceva da sigla di coda nella seconda serie di Lupin III. Come mai avete fatto riferimento a un’icona della fiction d’animazione, proprio del periodo più significativo tra l’altro, quello della “giacca rossa”?

M.A.: «Mah perché questo è un po’ una sorta di Lupin che cerca le occasioni frequentando le persone e va a colpo sicuro perché ci prova con la 50enne e non con la 30enne. Questa è stata un po’ la molla che mi ha fatto pensare: liscio, Castellina Pasi, Lupin».

A.P.: «Si rafforza anche per contrasto perché mentre…»

M.A.: «Andrea è il vincente, questo qui è uno molto “vorìa ma non poso”».

L’imprenditore d’arte fa riferimento alla sua esperienza da Bettenon ai tempi d’oro: secondo voi anche queste grandi aziende che hanno fatto della ricerca nella comunicazione il loro punto di forza, in qualche modo hanno subìto anche loro una forma di decadenza della proposta creativa?

Quanta fatica essere imprenditori di se stessi (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)M.A.: «Sì perché la proposta creativa è a onde emotive ed è credibile se nasce da un’esigenza diffusa, è da lì che vanno a pescare i creativi».

Ma secondo voi, che si faccia teatro o moda non ha importanza perché comunque devi centrare il target, non è molto più difficile dato che grazie a internet c’è una differenziazione enorme del pubblico e delle esigenze?

M.A.: «Con i social network, internet regala sensazioni, umori e scoperte che prima potevi fare solo di persona. Passi una mattina su Facebook, leggi racconti intimi e, veri o non veri, leggi un’infinità di pensieri ai quali prima non avevi accesso e quella è la vita vera, non è che quella lì è un’altra cosa e lì dentro trovi davvero il mondo. Quindi è più facile perché sicuramente è molto più immediato. Pensiamo alle confidenze di Romi Osti…».

A.P.: «Anche lui si presenta così come lo rappresentiamo noi: è un mercante d’arte, artista egli stesso, fondatore di una filosofia e di un movimento artistico, candidato alle elezioni con la lista Sgarbi eccetera».

La spada di Damocle è la Guardia di Finanza che viene da te e la Gabanelli e Santoro che ti intervistano: tutti cercano di andare in tv, questi invece la tv la temono.

A.P.: «Perché sono come delle forze ultraterrene: la Guardia di Finanza, Marchionne, queste cose che ti colpiscono come degli dei e uno degli dei minori è questa televisione. Loro chiaramente non avrebbero niente in contrario ad andare in televisione a parlare dei ratti o dei quadri, lui ci lavora in tv, però è il fatto che tutti sappiano che tu sei in fallimento, allora arrivano “i comunisti” che ti chiedono come mai sei in fallimento, perché licenzi gli operai, le udienze in tribunale… la televisione è come un dio che può darti la grandezza o meno, è un tribunale».

La pièce tratta non solo un argomento attuale ma è anche esportabile perché, pur essendo una commedia leggera, ci sono davvero milioni di italiani in queste situazioni che voi mostrate: bloccati in aeroporto, cosa faccio domani, l’amante che ti rifiuta, giovani imprenditori che fanno salti mortali incredibili. C’è poi una verve tipica della struttura della drammaturgia francese. Pensate di portare la pièce anche fuori dalla nostra zona?

M.A. : «Speriamo di si, noi abbiamo fatto questo esperimento a Schio diciamo “su commissione”, non lo avevamo mai mostrato in pubblico se non stasera e il risultato ci convince a continuare perché la sala ha risposto bene. Noi inconsapevolmente abbiamo costruito due clown, il televenditore Clown Bianco ( il clown bianco è la parte seriosa della comicità che si concede ma che cerca di rimanere dentro le righe) e un Augusto, cioè quello disastroso. É una regola della comicità quella del bianco e del nero».

A.P.: «E, guarda caso, sono la base dei due personaggi di “Aspettando Godot” di Beckett».

 

nr. 21 anno XVI del 4 giugno 2011

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