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E i classici divennero moderni

Per la prima volta il ciclo di spettacoli del teatro Olimpico taglia i ponti con Eschilo, Euripide e Sofocle

di Giuseppe Brugnoli

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E i classici divennero moderni

Il sospetto, o forse soltanto la perplessità, è che sulla programmazione del sessantaquattresimo ciclo di spettacoli classici all'Olimpico, appena presentato ufficialmente dall'assessore comunale alla cultura Francesca Lazzari e dal direttore artistico di Veneto Teatro Alessandro Gassman, abbia E i classici divennero moderni (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)in qualche modo influito la non recente ma attualissima decisione del Comune di Vicenza di uscire dal Consiglio di amministrazione dello Stabile, decisione che sarà attuata, come da contratto, solo nel 2012, lasciando quindi il 2011 ancora alla gestione del Teatro Stabile del Veneto. Infatti, per la prima volta in forma tanto esplicita, la stagione degli spettacoli classici all'Olimpico, giunta al suo 64esimo anno, taglia tutti i ponti con gli spettacoli classici della tradizione, cioè con Eschilo, Sofocle ed Euripide, per navigare a vele spiegate verso altri, più moderni lidi. E se è vero che l'anno scorso un legame con la tragedia greca classica era dato dalla proposta di una piece in greco moderno, quest'anno anche questo tenue rapporto è cessato: il Programma del ciclo di settembre 2011 propone infatti “Elektra” di Hugo von Hoffmannstahl, prodotto dallo Stabile del Veneto con regia di Carmelo Rifici, il “Racconto d'inverno” di Shakespeare in lingua russa con sottotitoli in italiano nella produzione del Maly Drama Theatre di San Pietroburgo, un workshop teatrale condotto da Alessandro Gassman sul testo di Robin Hawdon “Dio e Stephen Hawking” e infine riflessioni sullo stesso testo con l'astrofisica Margherita Hack e il filosofo Vito Mancuso.

SarebbE i classici divennero moderni (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)e difficile verificare quanto un'operina di uno dei più raffinati rappresentanti del decadentismo europeo come il poeta austriaco Hoffmannstahl [a des.], che ai suoi tempi, all'inizio del 1900, ebbe successo soltanto quando fu messa in musica da Richard Strauss, inducendo l'autore a dedicarsi ai libretti d'opera, dica qualcosa oggi, in un'epoca in cui l'estetismo estenuato in cui Hoffmannstahl di “Elettra” rivaleggiò con D'Annunzio non suscita non soltanto alcuna emozione ma neppure interesse fuori del circuito esiguo degli addetti ai lavori, ma si sa che ormai le presenze all'Olimpico, divenuto il contenitore esclusivo di pieces riservate ad un pubblico altrettanto esclusivo, che ama guardarsi e contarsi, non rappresentano più una misura del successo o meno di una qualsiasi rappresentazione. D'altra parte, un “Racconto d'inverno” in lingua russa, pur con didascalie in italiano, può essere una preziosa esibizione di un teatro lontano da noi non soltanto nella misura dei chilometri, ma anche in quella della E i classici divennero moderni (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)sensibilità. Se facciamo fatica a seguire uno Shakespeare in italiano, per le ovvie ragioni di una distanza non solo nel tempo ma anche nello spazio dalle opere del grande inglese, la riproposta di una commedia shakesperiana in russo può essere soltanto un'esibizione che assume rilievo dal grado della sua rarità e quindi preziosa incomprensibilità. Quanto alle altre due proposte, il workshop “Fabbricare teatro” è, come ben dice lo stesso Gassman [a sin.], «la mia prima esperienza di sperimentare attraverso un momento pedagogico il cammino da intraprendere per arrivare alla messa in scena di uno spettacolo». Che questa sperimentazione si svolga davanti ad un pubblico è ininfluente alla riuscita della sperimentazione stessa, e che si tenga davanti alla grande scena dell'Olimpico assume quasi il tono, se non della profanazione, perlomeno della sottovalutazione. Nulla c'è da dire infine dell'incontro dialettico o dialogico tra Margherita Hack e Vito Mancuso. Sono già comparsi insieme in diversi posti a discettare su Dio e sull'universo, e anche davanti a Corrado Augias in televisione, a mettere insieme le ragioni di un ateismo trionfante e di un generico teismo pieno di dubbi e reticenze.

Forse, una qualsiasi tra le migliori delle grandi opere della Grecia classica, su questi temi eterni che riguardano l'uomo e il suo destino e ripresentano come sempre attuale alcune antiche nozioni come la nemesi storica e la catarsi tragica, che i nostri lontani docenti ci hanno insegnato al liceo, avrebbe detto qualcosa di più agli spettatori dell'Olimpico di questa piccola, invero modesta, serie di “divertissement” altamente culturali ma devoti alla pura e semplice eE i classici divennero moderni (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)rudizione che diventa solipsistica esibizione teatrale. C'è un grande tesoro di cultura, e quindi di sapienza, e perciò anche di senso religioso della storia e della vita dell'uomo, nell'intatto millenario patrimonio delle tragedie greche. Accostarle con il rispetto, l'ammirazione e perfino la devozione che esse meritano è l'impegno che ci è stato consegnato forse non dai primi celebratori in un Rinascimento fastoso e a volte fatuo, ma da quanti sessantaquattro anni fa hanno ripreso questa grande tradizione e l'hanno di ciclo in ciclo rinnovata e ripresentata alla nostra attenzione che diventa infine meditazione. Nessuno di noi, qualsiasi ufficio occupi, è autorizzato a disperdere questo che non è un ricordo, ma una precisa consegna.

 

nr. 22 anno XVI dell'11 giugno 2011

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