NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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L’opera prima della bassanese Elisa Faccio diventa uno spettacolo al “Momo” di Mestre

“Bolle d’infanzia”, memoria lirica di una bambina felice che vive in un ambiente famigliare pieno di amore ed affetto, è un libro particolarmente dedicato ai bambini delle elementari ed è stato trasferito in uno spettacolo con la straordinaria interpretazione dell’attrice vicentina Anna Zago

di Gianni Giolo
giolo.giovanni@tiscali.it

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L’opera prima della bassanese Elisa Faccio diventa

Elisa Faccio, figlia del noto e stimato poeta bassanese Antonio Faccio, ha esordito con un libro “Bolle d’infanzia” (Editrice Artistica Bassano) che è la memoria lirica della sua infanzia serena di bambina felice che vive in un ambiente familiare pieno di amore e di affetto. Il libro è stato letto L’opera prima della bassanese Elisa Faccio diventa (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)in alcune scuole elementari del Bassanese ed è diventato, per le emozioni spontanee e i sentimenti semplici e immediati che sa trasmettere e comunicare, uno spettacolo teatrale il cui debutto è atteso per la prossima stagione autunnale di Thema Teatro e del quale un’anteprima assoluta è stata presentata al Teatro Momo di Mestre, nella sezione “Colpo d’occhio” del festival-vetrina del teatro contemporaneo “Sguardi”, con l’interpretazione dell’attrice Anna Zago e la regia di Piergiorgio Piccoli. La prosa poetica della Faccio, che ha fatto suo il monologo interiore o flusso di coscienza dei grandi scrittori novecenteschi come James Joyce, incomincia parlando delle più minute e normali cose della vita quotidiana di una bambina che affronta il primo giorno di scuola con i suoi piccoli-grandi problemi, per poi descrivere i suoi sentimenti più profondi nei confronti dei suoi cari e della natura che nel libro entra come una vera e propria protagonista. Il grande critico Sandro Gros-Pietro, nella prestigiosa rivista torinese “Vernice”, scrive che la Faccio «non vuole scimmiottare James Mettew Barrie e rappresentarci nelle sue pagine un nuovo Peter Pan in gonnella, ma, al contrario, la sua è una autentica ricerca proustiana all’insegna del tempo perduto, la ricerca cioè di quella parte autentica e vitale della nostra personalità che ormai è solo consultabile attraverso l’archivio della memoria ma che è sempre perduta alla frequentazione diretta della vita, perché è confinata in un passato che continuamente si allontana da noi, rendendosi fantasma sempre più evanescente. Grazie alla lampada di Aladino della scrittura la Faccio trova il passaggio che ci permette di entrare in contatto con il tempo perduto e viverlo nei suoi profondi significati inquirenti e rivelatori, come se si trattasse di un oggetto reale e quotidiano e non di una splendida finzione ricostruita a tavolino».


Un estratto dello spettacolo

L’opera prima della bassanese Elisa Faccio diventa (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)L’anteprima “Bolle”, ha visto una straordinaria interpretazione dell’attrice vicentina Anna Zago che ha proposto una raccolta di frammenti e ricordi ispirati all’infanzia, letta quale luogo della memoria in cui ognuno di noi costituisce una parte della propria vita attraverso le vite degli altri, della propria famiglia, delle persone che gli vogliono bene. Ecco allora, in “Bolle”, stagliarsi figure di riferimento che sono state determinanti nella formazione del mondo in cui vive la protagonista-bambina; ed ecco ognuna di loro divenire tessera del mosaico della sua esistenza, allo stesso modo di quell’insieme di colori, odori, sensazioni e sapori che hanno rappresentato, per lei, la cornice entro cui si è realizzata un’età infantile vissuta, assimilata, ricordata e raccontata. Adulta, l’autrice ha saputo mantenere intatta la freschezza, l’immediatezza di quel tempo perduto alla cui ricerca il lettore va, con lei, avventurandosi tra le pagine della sua opera, tra le bolle di sapone di un’età tanto felice quanto piena di domande, di un tempo di spensieratezza ma anche di crescita, di sensazioni dolci e gioiose ma anche intense e profonde. “Bolle” diviene così un gioco di specchi, di riflessi rimandati dal passato al presente, dall’età infantile a quella adulta, senza più soluzione di continuità.


Una rara forza narrativa

La Faccio [a sin. con il regista Piergiorgio Piccoli] rivela una straordinaria forza poetica e narrativa e una levità e leggerezza di scrittura insolite che ben si prestano alla traduzione teatrale. L’attrice Zago ha saputo cogliere, con rara efficacia lirica ed L’opera prima della bassanese Elisa Faccio diventa (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)emotiva, i momenti poetici del libro in cui l’autrice si abbandona all’onda dei ricordi rievocandone i momenti magici della scoperta del mondo da parte di una bambina di cinque anni e i momenti tragici come la morte del nonno. Elisa narra la sua infanzia felice e i piccoli gesti di una vita quotidiana fatta di episodi apparentemente insignificanti ma pieni di valore e di poesia per una bambina che si accinge a dare, come Adamo, un nome alle cose e a decifrare gli avvenimenti belli o brutti della vita. Nell’invito alla lettura del libro, il padre Antonio scrive che «il bambino capisce molto, tutto: i suoi genitori, i vecchi, i nonni, e cresce comprendendo sempre di più se stesso osservandoli, capisce il mistero che ci circonda, anche della morte, su cui si interroga, sul nonno, o l’anziano che era abituato a vedere, e che non scorge più all’angolo del ricovero. Le memorie diventano “bolle” anche grigie, oscure come le domande, come i loro sentimenti e pensieri che non sempre si dissolvono, ma rimangono lunari, incerti nella veglia e nel sonno».


L’immagine del papà

Il libro incomincia con l’immagine del papà (Elisa non lo chiama mai padre) nell’appuntamento giornaliero del mondo della casa e della scuola, una figura mitica, l’uomo “delle cose serie”, il centro della “paideia” domestica, che si confonde, nei ricordi della bambina, con il canto dei merli e degli usignoli nel ramo più alto degli alberi, e con i racconti dei cantastorie e delle favole a colori, poi si passa alla mamma, semplice, maestosa ed elegante, che non ama i trucchi e che svela nei suoi gesti abitudinari, alla bambina incantata «un mondo tutto da scoprire», poi la figura del nonno, più forte della morte e del dolore, poi quella di Nina che si identifica nella saporosa trasgressione del poter gustare il pane con il burro e la marmellata, poi il mondo favoloso dei «crostoli dorati che formano delle piramidi dall’equilibrio instabile», un universo fantastico di bolle che ricorda le bolle di sapone limpide e luminose perché «si vestono del colore del cielo, di quei colori e di quei riflessi simili all’arcobaleno», perché ricordano «la semplicità, la fantasia, la meraviglia, l’entusiasmo, la sincerità, la trasparenza della mia infanzia».


Il mondo dell’infanzia

La parte finale del libro è una celebrazione del mondo mitico dell’infanzia in cui l’autrice confessa: «Mi chiedo se anche gli adulti sotto sotto trasportino e custodiscano il loro piccolo mondo d’infanzia. Li osservo, cerco in loro se trovo qualche riflesso d’infanzia, qualche virgola. Ma non mi pare… E mi dispiace perché gli adulti non capiscono che cosa si perdono e si sono persi a non trasportare negli anni e a custodire in sé questo mondo d’infanzia. No, no, meglio il mio mondo che porterò anche da grande con me; lo custodirò, lo proteggerò, anzi, sarà ancora più necessario potere rifugiarmi nel mio mondo di fantasia, almeno in alcuni momenti, vista la serietà e tristezza che scovo in quello degli adulti».

 

nr. 23 anno XVI del 18 giugno 2011

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