Un intenso tour di presentazioni in tutto il Vicentino fa da sfondo in queste settimane al successo de "L'ultima anguàna", il nuovo romanzo dello scledense Umberto Matino [a des.] che, dopo le diecimila copie vendute con "La valle dell'orco", si avvia a superare ampiamente quel traguardo, visto che la prima tiratura di cinquemila è andata a ruba in un solo mese e l'editore romagnolo Foschi ha già pronta la ristampa. Con una trama al tempo stesso avvincente e a tratti scanzonata, la storia si svolge fra Vicenza, Schio, Arsiero e le contrade della piccola Pòsina, che sorgono isolate in una valle appartata e selvaggia delle Prealpi vicentine.
«Cosa sono le anguàne?» chiese. «Hanno l’aspetto di ragazze bellissime, con la pelle bianca come la luna, le labbra rosse come ciliegie mature, e i capelli sono lunghi e neri. Dovete stare molto attenti, perché sono pericolosissime: in un attimo possono trasformarsi in lunghi serpenti schifosi o in bisce con le ali. Quando le anguàne si mutano in serpi, strisciano sotto il letto dei poveri cristiani e gli ciuciano il sangue dagli oci mentre dormono. Bisogna stare sempre distanti dall’acqua, ricordatevi! I nostri nonni ci insegnavano di non avvicinarsi mai ai fiumi, perché le anguàne possono incantare anche i bambini e attirarceli dentro».
È il 22 giugno del 1968, e una lieve scossa di terremoto provoca il crollo di un antico mulino. Fra le sue macerie vengono rinvenuti casualmente tre scheletri. Da questa insolita scoperta, parte l’indagine del maresciallo Baldelli, ex comandante della locale stazione dei carabinieri, che viene richiamato urgentemente dalla Calabria per investigare. Per dipanare il filo che unisce la macabra scoperta con i misteriosi avvenimenti del passato a cui sembrano connessi, Baldelli dovrà ripercorrere con la memoria l’estate del ’56. Allora era un giovane brigadiere pieno di belle speranze e per far luce su una drammatica vicenda, si avvalse dell’aiuto di un estemporaneo cappellano che insegnava latino al liceo del capoluogo. Quell’anno, tre fratellini di Vicenza, Vito, Marilù e Pino, stavano trascorrendo le loro vacanze estive lassù, ospiti di una solida e vigorosa signorina che li accudiva con un piglio da governante teutonica: d’improvviso, l’atmosfera bucolica dei loro passatempi infantili si fece però cupa e minacciosa. La valle, i boschi ed i monti, che agli occhi dei bambini parevano magici e fatati, si riempirono di presenze malefiche e rivelarono tracce di esseri ostili. Erano i segni inequivocabili delle Anguàne, le mitiche ed ambigue ninfe delle fonti. In quelle avventurose vacanze i giochi infantili si fecero via via più imprudenti mettendo inconsapevolmente allo scoperto i segni di un passato inquietante. La vacanza dei bambini verrà interrotta in maniera repentina ed imprevista. Toccherà a Baldelli ricostruire le tante verità nascoste, ripercorrendo a ritroso gli aspetti più sinistri della storia della contrada e dei suoi abitanti.
Matino, da dove ha tratto ispirazione per questo nuovo libro? C'è qualcosa di autobiografico?
«Da bambino nell'estate del '58 anch'io andai un mese Posina in vacanza con due miei fratellini. E anch'io, come nella trama, conoscevo un ragazzino del posto che aveva un deposito di ferrovecchio e materiale bellico, che in quella zona si trovava con molta frequenza visti i trascorsi storici delle due guerre. Ho tratto ispirazione anche da questi particolari per riallacciarmi al mondo fiabesco dei bambini, che è uno dei temi portanti della trama. Volevo raccontare una storia e non una fiaba. Per questo mi sono agganciato a dei fatti realistici che conoscevo, senza inventare tutto di sana pianta, se non la trama degli eventi».
L'Anguàna è parte integrante di questo mondo fiabesco?
«È un personaggio della cultura e della mitologia alpina, non solo italiana, che sopravvive ancora oggi nei racconti e nelle leggende delle nostre valli. Personifica il magico, ma anche la paura. Ha a che fare con l'acqua e come l'acqua rappresenta da una parte l'utilità e la freschezza, ma dall'altra anche il pericolo e la profondità dei torrenti e dei fiumi. E, come l'acqua, se non viene rispettata e trattata con cura diventa micidiale, come le cronache vicentine recenti ci hanno insegnato».
Come nel suo primo libro, anche in questo la storia si svolge in una piccola contrada di montagna?
«Trovo che questi paesaggi naturali, con le loro bellezze, siano più interessanti di quelli cittadini dove tutto è uguale e ci si può anche annoiare. Questo è anche un modo per dare spessore alla narrazione. Non racconto solo una storia, ma cerco anche di richiamare l'attenzione sui problemi della montagna e di chi ci vive. In particolare, la val Posina ha vissuto negli ultimi decenni uno spopolamento drammatico che la vede oggi quasi in stato di abbandono. Una disgregazione della comunità, un disagio esistenziale che si può capire solo vivendoci, non certo andandoci come turisti. Tra le righe il lettore può rintracciare un piccolo mondo che oggi non esiste più, travolto dalla modernità che ne ha cancellato quasi ogni traccia. E da certe leggi che, pur nella buona fede, hanno di fatto peggiorato la situazione».